Omelia notte di Natale (25/12/2022 -Anno A-)

 

Capita spesso che, per poterci spiegare rispetto alla bontà di una esperienza, o riguardo alla bellezza di qualcosa che ci tocca profondamente, utilizziamo espressioni o esempi che accentuano il contrasto tra degli opposti. Questo perché la maggiorparte delle volte, vivendo vite ordinarie, non sempre si riesce a rendere in modo “oggettivo” quanto viviamo al livello più soggettivo. Ciò che per qualcuno può essere un evento eccezionale, sconvolgente e straordinario, per altri può non voler dire nulla. E così ci troviamo ad indugiare per esempio nella descrizione di momenti di tristezza per sottolineare quanto un dato momento sia stato fonte di gioia, oppure narrare alcuni episodi che ci hanno paralizzato nella paura per poter far comprendere il potere liberante e rassicurante di un evento.


Così mi sembra avvenga in questo radunarci insieme nel cuore di questa notte, nella quale la Chiesa ci invita a celebrare il Natale del Signore. Ci è narrata una buona Notizia che ha cambiato le sorti di tutta l’umanità – e anche la nostra – e non accade solo attraverso la proclamazione della Parola che abbiamo ascoltato, ma anche attraverso la convocazione in una ora in cui tutto attorno a noi è buio, ancor di più da noi dopo una strada di 10 km che passa in un bosco assai fitto, per mostrarci lo splendore di una luce che rischiara le tenebre che possiamo incontrare nel cammino della nostra vita.


Un popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse… hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia… hai spezzato il giogo… la sbarra… il bastone…


C’è luce, c’è gioia, c’è liberazione che nel cuore di questa notte è annunciata e per comprenderlo abbiamo bisogno di parole forti, di paragoni “estremi” che ci aiutino a rileggere forse la potenza straordinaria della vita divina presente nell’ordinario delle nostre esistenze. C’è infatti un ordinario che ci sembra essere banale, povero, a volte forse umiliante, rischiando di pensare - illudendoci - che per dare senso alle nostre esistenze avremmo desiderio/bisogno/necessità di vivere qualcosa di sensazionale, di straordinario, qualcosa che non è mai accaduto, facendo fatica a credere che la vita “ordinaria” custodisca in sé i germi di qualcosa di grande. Il Vangelo che abbiamo ascoltato or ora, giustapponendo due situazioni completamente opposte, ci provoca non poco.


Da una parte abbiamo l’eccezionalità di un evento. Il grande imperatore che dominava tutta la terra ordina un “primo” censimento. Una cosa che coinvolge una moltitudine… anzi la totalità degli abitanti del mondo. Un qualcosa che stuzzicava la curiosità, se non il brivido della potenza che abitava nel cuore del sovrano. Ed è proprio vero! Ogni volta che ci si misura, spesso si rischia di cadere nella tentazione di valutare quali siano le nostre forze, le nostre risorse e non sempre perché queste siano messe a disposizione, ma per entrare in competizione, per mettersi in contrapposizione, per mostrare la forza nei confronti di potenziali nemici.


Dall’altra, l’evangelista Luca rivolge poi la sua attenzione in un angolo remoto della terra allora conosciuta, come cercando di osservare sotto le lenti di un microscopio, la vita di una piccola famiglia di un villaggio sperduto della Galilea, ai confini dell’impero. Osserva le vicende di una famiglia che pare essere insignificante per le sorti dell’impero. Una coppia che si trova a non poter disporre di nulla, e neppure di decidere dove poter far nascere il proprio figlio. Migranti non accolti di cui nessuno si preoccupa e la cui macchina organizzativa del censimento non si premura di garantire le necessità basilari, ordinarie, proprie della dignità di ogni uomo. E in questa situazione di precarietà in qualcosa di “ordinario”, di “naturale” come una nascita nessuno è capace di cogliere la straordinarietà dell’evento, se non dei poveri pastori esercitati nell’arte di cogliere ed accogliere le nuove vite del gregge, di vegliare per custodire dai pericoli le indifese vite del pascolo. E nella loro veglia si lasciano coinvolgere dallo stupore di una nascita che, su invito dell’angelo, riconoscono connotarsi per una preposizione: la preposizione “per”.


Oggi nella città di Davide è nato PER VOI un salvatore!


In una notte dove tutto sembra essere funzionale alle brame di pochi, in cui tutto viene letto nella dinamica dell’utile “per sé”, irrompe nel mondo una vita, quella di Dio, che è e che può essere solo “PER DONO”!


Per noi e per la nostra salvezza discese dal Cielo, proclamiamo nel credo.


È per noi impossibile dire qualcosa di esaustivo su Dio, ma se dobbiamo balbettare qualche sua caratteristica, la celebrazione del Natale ci dice che la vita divina si manifesta a noi nella categoria del “dono”. In quel bambino adagiato nella mangiatoia, Egli si manifesta come Dio con noi, il Dio PER noi. Gesù nasce e si offre senza difendersi, senza trattenere per sé nulla, senza pretesa di riconoscimento… è lì disponibile a coloro che lo cercano. Questa manifestazione non prevede riserve o condizioni necessarie perché questo dono possa essere meritato, possa essere ricevuto. È semplicemente offerto, un amore e una vita a piena disposizione di chi desidera ed è capace di coglierlo.


E se ci concediamo di guardarci intorno con uno sguardo attento, ci renderemo conto che molte cose attorno a noi sono simbolo e richiamo di questa vita divina donata: la bellezza di un cielo stellato, la sovrabbondanza di una sorgente che sgorga, la generosità dei frutti della terra, l’amore di una madre e di un padre, la gratuità di una amicizia, il gesto disinteressato di un fratello. Tutto ciò che è dono ha in sé la fisionomia di Dio. E questo dono lo celebreremo e di questo ci nutriremo nel segno del pane consacrato che nel cuore di questa notte ci verrà nuovamente offerto.


Così ci troviamo qui, nel cuore di questa notte, desiderosi di recuperare lo stupore e la vertigine della contemplazione di questo bambinello che porta in sé la realtà della fragilità e la grandezza della divinità; il mistero dell’inaccessibilità e la prossimità della vulnerabilità, di straordinarietà nell’ordinario. Dio, il Totalmente altro, l’Inaccessibile che si offre e rende accessibile la sua vita PER noi. Egli appare per noi! La seconda lettura ha una espressione bellissima che dice questa gratuità e che ci invita allo stupore:


È apparsa la grazia di Dio che porta la salvezza a tutti gli uomini…


Appare ma nella piccolezza, appare ma nella ordinarietà, appare ma nei luoghi dimenticati, appare ma nella periferia di un impero, appare tra le maglie di una umanità abbandonata. E san Paolo ci esorta ad orientare il nostro sguardo lì, verso questo presepe, lì dove il Signore appare, perché lì non c’è solo la fonte della vita, ma anche il modello e la via da seguire per gustare la libertà di questa vita divina che ci è offerta e alla quale siamo chiamati.


Questa grazia apparsa ci insegna a vivere. Ma come? Con sobrietà, con giustizia e con pietà.

La sobrietà che questo Bambino ci mostra è una sobrietà nello stile: nelle parole e nell’apparire. Nel farsi “dono”, il bambino di Betlemme non fa grandi proclami ma è nel silenzio. Tutt’al più emette vagiti, perché si mostra bisognoso, nudo, fragile. Nessuna aspettativa, nessuna attesa, nessuna pretesa… non ha bisogno di nulla, se non dell’attenzione e dello sguardo di chi lo cerca! È lì, semplicemente per, totalmente aperto nella fiducia, raggiungibile nella sua sobrietà.


La giustizia che questo neonato ci indica è una giustizia che non si difende, che preferisce la comunione alla ragione e con “mite determinazione” si ribella contro tutto ciò che separa Dio dall’uomo, che minaccia la comunione: il peccato e la morte! Quel Dio distante a causa della disobbedienza di Adamo, ora è reso vicino dalla vulnerabilità del Bambino di Betlemme che per far crollare i muri di divisione è disposto a metterci la faccia, a perdere la vita.


La pietà che è venuto ad insegnarci è una pietà che porta il nome della carità, e che rende sacro ogni gesto e ogni situazione dell’uomo che Egli, dalla sua nascita alla sua morte, ha voluto abitare. Non c’è esperienza dell’uomo infatti che Egli non abbia voluto condividere… e così ci indica che ogni cosa, ogni nostra attività, ogni esperienza possono diventare il luogo dell’incontro con Lui, il luogo della preghiera, perché dove c’è dono di sé e dove c’è carità lì si incontra Dio.


Nel cuore di questa notte, nelle vicende ordinarie e imprevedibili di una piccola famiglia della Galilea contempliamo e celebriamo allora la manifestazione straordinaria della vita divina che si dona, celebriamo la nascita di Cristo che per noi è vita e si mostra a noi come via.


La preghiera e l’augurio che rivolgo a ciascuno di voi e che possiamo scambiarci è di poter sempre avere il desiderio e direi anche il coraggio di cercare nel nostro ordinario quotidiano la presenza di quel Dio con noi/Dio per noi alla cui scuola possiamo anche noi imparare a vivere con sobrietà, giustizia e pietà, facendo delle nostre esistenze “dono per la vita del mondo”, per divenire sempre più ad immagine del nostro amato signore Gesù Cristo.


P. Emanuele

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