Omelia della domenica VI del T.O. (13/01/2022 -Anno C-)


 

Il vangelo di oggi ci presente le beatitudini nella versione di S.Luca, e a prima vista potremmo stupirci delle grandi differenze dalla stessa pagina nella versione di Matteo. Innanzitutto la collocazione. In Matteo le beatitudini si collocano su un monte: è l’inizio del “discorso della montagna”, mentre in Luca si collocano in un luogo pianeggiante. E questo è spiegabile perché Matteo presenta agli ebrei convertiti al cristianesimo ai quali scrive Gesù come nuovo Mosé che dona la nuova legge del Regno, per cui i suoi insegnamenti sono strutturati in cinque grandi discorsi che richiamano il Pentateuco. Mentre Luca si rivolge a tutte le genti di lingua graca convertiti a Cristo e pone la nuova legge in un luogo di facile passaggio perché tutti la odano.

   Poi Luca, semplificando, distribuisce le otto espressioni di Matteo in quattro beatitudini e le riprende esattamente in negativo con delle minacce che iniziano ciascuna con la parola “guai!”. Inoltre Luca è più radicale nel presentare la necessità della povertà a chi segue Cristo, e disprezza le ricchezze come un male in se stesse: Se Matteo dice “beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli” Luca dice “Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio”. Se Matteo dice “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati”Luca dice “Beati voi che avete fame, perché sarete saziati” e, come vedete, si rivolge non ad ascoltatori generici, ma a quelli che lo stanno ascoltando in quel preciso momento. E si potrebbe continuare, ma già questo ci dice di una teologia differente dei due evangelisti oltre che della loro preoccupazione di essere capiti da coloro cui si rivolgono: Ebreo-cristiani nel  caso di Matteo, Greci convertiti nel caso di Luca.

   Ma per entrambi è chiara una realtà: Le beatitudini vanno proprio all’opposto dei criteri umani di valutazione e di impostazione di vita. Allora come adesso la nostra mentalità definirebbe beati coloro che hanno ricchezze, che ridono e si divertono ad ogni costo, che sanno farsi valere magari con prepotenze e ingiustizie, e che godono di buona reputazione, e definirebbe infelici coloro che piangono, hanno fame, sono miti e puri di cuore e sono malvisti, diffamati e perseguitati. Ma i criteri di Dio sono molto diversi da quelli degli uomini. E nel Regno i valori che contano sono esattamente opposti a quelli del mondo. La prima lettura e il salmo responsoriale ci presentano, l’immagine dell’albero che intristisce se piantato in luoghi aridi e che prospera invece se cresce lungo corsi d’acqua. E possiamo anche ricordare la parabola della casa fondata sulla sabbia o sulla roccia, per illuminare bene il vangelo di oggi. La felicità umana è spesso fondata si cose tanto tangibili quanto effimere: la ricchezza, il potere, il successo, la fama … cose tutte che possono mutare da un momento all’altro, come ci ricordano anche gli ultimi avvenimenti della crisi economica che si aggrava sempre di più in seguito all’epidemia. Chi è povero, affamato, mite e sofferente non ha altri che Dio su cui fondarsi e Dio non mancherà di guarire, sostenere, provvedere e confortare coloro che con fede sempre più pura di affidano a Lui, che prima o poi prospereranno come un albero piantato lungo corsi d’acqua che darà frutto a suo tempo e la cui casa non crollerà anche se investita da tutti gli sconvolgimenti naturali o dalle persecuzioni.

   Naturalmente il modello cui dobbiamo guardare, il tronco di vite in cui dobbiamo innestarci e da cui traiamo la linfa vitale è Gesù: il primo che vive in pienezza le beatitudini che proclama. Egli ha scelto la povertà, la mitezza, il suo cuore è puro, mite e umile, è affamato e assetato di giustizia e costruisce la pace in chi si affida a lui, è perseguitato, insultato e diffamato, obbediente alla volontà del Padre fino alla morte di croce, e in questo modo entra nella sua Gloria e nella vera beatitudine senza fine, che trasmette a coloro che credono e si radicano sempre più in lui, edificati come pietre vive di un edificio fondato sulla roccia. Chi invece pone la sua sicurezza solo in questa vita e nei valori che il mondo propone per una felicità tanto appariscente quanto ingannevole ed effimera è destinato a dissolversi ...“come pula che il vento disperde”.

   E’ impossibile per ciascuno di noi vivere le beatitudini se non c’è questa comunione in Cristo, da cui attingere occhi nuovi e avere la forza e la grazia di vivere controcorrente, morendo nella pasta come il sale e il lievito, per dare sapore e far fermentare il Regno. E questo è vero dai tempi della prima predicazione evangelica fino ad oggi. Anche Gesù, chicco di frumento caduto in terra ha dovuto morire per portare molto frutto.

   Mi sembra suggestivo ricordare, alla luce della Parola ascoltata oggi quella Profezia dell’allora Prof. Joseph  Ratzinger, nel 1968, citata da P. Amedeo Cencini nella conferenza che abbiamo sentito in refettorio lunedì scorso, e che poteva essere applicata alla Chiesa in generale e alle comunità religiose, ma anche parrocchiali, in particolare. Stiamo andando verso una Chiesa più piccola e più povera, fatta di piccoli edifici e di piccoli gruppi e non di masse o di “eserciti all’altar”, non più compromessa con il potere politico dominante e apparentemente sempre più debole e insignificante. Le chiese si vuotano, magari anche per la prolungata pandemia,  le vocazioni scarseggiano, tante istituzioni ed edifici grandiosi e opere sociali diventano insostenibili, e la maggior parte della gente perde l’orizzonte di Dio … bisogna quindi che i cristiani convinti, tali non per una tradizione  accolta passivamente, ma per una libera scelta consapevole e responsabile, ridiventino sempre più autentici, credibili, fervorosi e accoglienti, incarnando in modo trasparente nelle loro comunità l’ideale delle Beatitudini evangeliche. 

Per dirla con le parole del Vescovo di Pinerolo, le comunità cristiane devono diventare “centri vitali”, fatti di cristiani ardenti di fede, speranza e carità, anche se poco numerosi, dove si respira la vera fraternità in Cristo e dove anche chi entra occasionalmente, magari dopo un periodo di lunga assenza, si trovi accolto e capisca la liturgia semplice e vera che vi si celebra, centrata su Cristo vivo presente nella comunità e non sulle qualità più o meno affascinanti dei suoi ministri; dove si sperimenta la gioia e la pace promessa da Gesù a chi è povero, mite, puro di cuore, affamato e assetato di giustizia, operatore di pace e magari felice di essere ignorato, diffamato o perseguitato per amore di Cristo e dei fratelli, perché la persecuzione, fin dai primi secoli della Chiesa, è come il segno di riconoscimento della vita cristiana quando è  autenticamente evangelica … allora anche “i lontani” sentiranno fortemente nel loro cuore la “nostalgia di Dio”.

Fr Gabriele

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