Omelia S. Famiglia - Anno C - (26/12/2021)


 

S. Famiglia    - C -

  La prima lettura e il Vangelo di oggi presentano molte analogie interessanti. Anna si reca con suo marito Elkana al tempio per offrire al servizio di Dio Samuele, il figlio che Dio le ha dato miracolosamente eliminando la sua sterilità. Giuseppe e Maria avevano già fatto qualcosa del genere quando avevano presentato Gesù al tempio: questo Gesù, concepito anch’egli miracolosamente da una Vergine senza intervento di uomo, era già stato offerto a Dio seguendo le prescrizioni della legge : “Ogni figlio primogenito sia sacro al Signore”. 

Ora lo riportano al tempio al compiersi del suo dodicesimo anno perché entri nel mondo degli adulti e nell’Alleanza come membro effettivo e maturo del popolo di Israele. Sembra che Gesù qui sia disobbediente, al contrario del suo solito. In realtà sottomette per un certo tempo la sua obbedienza a Giuseppe e Maria a un’obbedienza superiore: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. E questo è proprio in linea con quanto Gesù apprende dai suoi genitori terreni: l’obbedienza alla volontà di Dio per amore ha sempre il primato su tutto il resto. E proprio Giuseppe e Maria l’avevano educato in questo senso più con il loro esempio che con la loro parola: entrambi hanno sacrificato i loro progetti umani e le loro aspettative mettendo al primo posto la volontà di Dio.

   Ma cos’altro impara Gesù nella famiglia cui il Padre celeste lo ha affidato? S. Paolo VI in una celebre omelia indica il silenzio, il lavoro, il rispetto e l’obbedienza, l’ascolto della Parola nella fede  e la preghiera, cose in cui Giuseppe e Maria possono davvero essergli maestri nell’educazione della sua Umanità Santissima, avendo in lui un figlio completamente sottomesso e docile. Ci colma veramente di grande stupore che il Figlio di Dio abbia voluto aver bisogno di una famiglia umana per crescere in età sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini. Ma forse la cosa più importante che Gesù apprende nell’atmosfera della S. Famiglia è proprio a “essere Figlio”, sviluppando anche come uomo la sua identità che da sempre vive pienamente in seno alla Trinità. Gesù di Nazareth impara a essere il Figlio diletto nel quale il Padre si compiace. A essere sempre costantemente sotto lo sguardo del Padre in modo da piacergli in tutto ciò che dice, pensa e compie. “Mio cibo è fare la volontà del Padre”: ciò che lo fa vivere, la ragione ultima della sua esistenza e della sua identità è questa, per cui nel vangelo di oggi questo aspetto prevale sulla sottomissione e l’amore filiale e rispettoso verso Giuseppe e Maria. Del resto, più tardi, insegnerà anche ai suoi discepoli che “Chi ama il Padre e la madre più di me non è degno di me” E Lui non sarebbe stato degno del Padre se non si fosse occupato in quel momento delle cose del Padre suo per compiacerlo.

    Anche noi dalla S. Famiglia possiamo apprendere il silenzio, il lavoro, il rispetto e l’obbedienza, l’ascolto della Parola nella fede e la preghiera. Ma soprattutto possiamo apprendere a “essere figli” nel Figlio, plasmati a sua immagine, avendo in noi gli stessi sentimenti e atteggiamenti di Gesù, e riconoscendo che questo non è nostro merito o nostra conquista, ma puro dono del Padre: “Ca-rissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente” E potremmo leggere tutta la seconda lettura tratta dalla prima lettera di S. Giovanni con la nostra attenzione puntata al nostro modello Gesù: figlio perfetto che ci fa partecipare nell’amore al suo rapporto col Padre. E come Gesù “imparò ad obbedire, non solo dalle cose che patì, come ci dice la lettera agli Ebrei, ma anche dall’esempio e dall’educazione ricevuta in seno alla S. Famiglia, così anche noi abbiamo bisogno di imparare ad essere figli in seno a una comunità che svolga per noi tutti una funzione analoga, perché “noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato …” dobbiamo quindi crescere come figli in seno a una comunità che ci educhi a osservare i comandamenti di Dio e dove ci amiamo gli uni gli altri come fratelli.

   Forse è questo che anima S. Benedetto a istituire il monastero come una “scuola del servizio di Dio” dove si impara ad essere figli nel Figlio e fratelli di tutti, non solo dei membri della comunità ma di ogni uomo che cerca Dio e bussa alla porta del monastero per esservi ospitato o semplicemente per respirare questo “clima di famiglia” per qualche ora prima di tornare nella sua realtà di vita.

   Ma per ogni cristiano questa comunità dove ci si educa ad “essere figli” dovrebbe essere tutta la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo dove si rinasce nel Battesimo, si ascolta la Parola, ci si converte e si cresce nella fede, nella speranza  e nella carità diventando figli in comunione vitale con quel Figlio al quale ci si unisce strettamente nell’Eucaristia diventando con Lui una cosa sola. Nella Chiesa impariamo a passare dalla contemplazione all’azione senza traumi o forzature, trasfondendo nelle nostre azioni e nella vita quotidiana quanto ci viene dall’unione intima con Dio e con i fratelli che  viviamo nella liturgia e nella vita ecclesiale.

   L’episodio del vangelo di oggi viene magnificamente commentato da S. Aelredo di Rievaulx nella sua opera: il “Gesù dodicenne”, che si conclude proprio con una sugestiva similitudine. Gesù nel tempio è il simbolo di ogni credente che si unisce a Dio “occupandosi delle cose del Padre suo”. Nel tempio, come sul Tabor dove Gesù si trasfigura, si sperimenta la Gloria di Dio e ci si espone alla sua grazia vivificante … ma bisogna pur scendere e tornare al nostro “terribile quotidiano”: Maria e Giuseppe, per Aelredo personificano la Carità e lo Spirito Santo, che vengono a riprenderci per ricondurci alla nostra  Nazareth, alla vita ordinaria, con le sue gioie, contraddizioni e difficoltà, vita dove incontriamo i nostri fratelli che con noi camminano verso la patria celeste, dei quali dobbiamo farci carico e ai quali dobbiamo portare quanto abbiamo sperimentato e capito nell’intimità con Dio della contemplazione.  E’ un bel programma di vita per tutte le nostre famiglie, per le nostre comunità religiose e per la Chiesa tutta. E il modello cui ispirarci per questo cammino è proprio la S. Famiglia che vive e si santifica giorno per giorno vivendo in modo intenso, anche se nascosto, la relazione vitale quel “ Verbo fatto carne” che custodisce nel suo seno e intorno al Quale si edifica.

                                                       

                                                                                                                                    Fr Gabriele

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