Omelia della domenica XXX del T.O. (24/10/2021 - Anno B-)


 

C’è un camminare sui sentieri di Dio che si conclude con l’esultanza di una lode che trova il suo fondamento nella consapevolezza che si è salvati.

Prima lettura e salmo descrivono proprio questa gioia, la gioia del ritorno dall’esilio di Babilonia, un ritorno che è solo opera di Dio. È il Signore che ristabilisce la sorte e invita a cantare con le parole del Salmo: Grandi cose ha fatto il Signore per noi!  E questo ritorno è per ciechi e zoppi, per donne incinte e partorienti. Sembra un po' il ritorno di una carovana variopinta di tutta gente raccogliticcia, che attira l’attenzione più per la sua originalità che per l’impresa eroica che questo gruppo affronta.

 

La nostra vita a volte può essere paragonata al cammino del resto di Israele, ad un ritorno da un lungo esilio. Forse un po' zoppi e un po' ciechi anche noi, affrontando i primi passi con titubanza, timore e tremore, i nostri cammini prendono il largo da qualcosa che abita nel profondo e che non sempre riusciamo a verbalizzare: nostalgia? inquietudine? mancanza? desiderio? Non sempre i passi sono azzeccati, ma Gesù interviene non rifiutando i tentativi, ma provocando per dare luce, orientamento e consistenza.

 

Nei vangeli di queste ultime due domeniche Gesù interagisce con diverse persone proprio in questo senso. Domenica scorsa entra in dialogo con Giacomo e Giovanni, questa domenica con Bartimeo. E a tutti loro si rivolge chiedendo “Che cosa vuoi che io faccia per te?... cosa volete che io faccia per voi?”.

Domanda semplice e diretta, senza troppi giri di parole, ma che provoca i suoi interlocutori a guardarsi dentro, a capire cosa li muove ad avanzare le richieste impegnative – come per Giacomo e Giovanni domenica scorsa – o a gridare disperatamente in mezzo a tanta gente, ai bordi di una strada, come per Bartimeo.

Che cosa vuoi che io faccia per te… per voi?”. Una ripetizione – in Marco a distanza di pochi versetti - che non è da far passare come casuale, ma dice l’interesse che il Cristo ha nei confronti dell’uomo. Cosa ti abita nel cuore? Quale è il tuo desiderio? Il Signore ne è interessato. E questo pare dirlo a noi anche oggi.

Credo che mettere in parallelo i due vangeli – quello di domenica scorsa e quello di oggi – possa aiutarci a comprendere due aspetti importanti della sequela, facce di una stessa medaglia.

 

Un primo aspetto ci viene offerto dalla richiesta dei discepoli di Giacomo e Giovanni sul voler stare alla destra e alla sinistra di Gesù nel suo regno: sembrerebbe porre l’accento sulla questione su quale posto abbia la volontà/desiderio dell’uomo in un cammino di sequela. Si parla spesso di volontà di Dio da compiere, volontà che sembra esterna all’uomo e alla quale l’uomo deve aderire passivamente e in modo impersonale – lo preghiamo anche nel Padre Nostro – eppure Gesù, ponendo la domanda che cosa vuoi che io faccia per voi sembra che voglia adeguarsi alla volontà/desiderio dell’uomo.

In fondo la volontà di Dio è che l’uomo sia felice e la Sua volontà consiste nel vedere l’uomo realizzarsi nella pienezza della propria vita, una pienezza che è possibile solo nella piena comunione con Dio. Nella domanda dei due discepoli Gesù intravede il desiderio di una piena comunione con Dio: essere alla destra e alla sinistra è espressione un po' maldestra per esprimere il desiderio di essere con Dio.

Gesù guarda questo desiderio profondo. Lo guarda, non lo mortifica, ma lo accompagna verso un compimento che va molto oltre di quello che i discepoli immaginavano. Chiede loro solo di fidarsi e di abbandonarsi… dato il proprio sì, bisogna lasciarLo fare… il Signore li conduce nell’adempimento del loro desiderio. Essi saranno, sì, con il loro maestro ma nella condivisione della Pasqua. Non è dunque questione di desiderio sbagliato, ma di prospettive immaginate male.

 

E così – ed ecco il secondo aspetto – che l’evangelista Marco ci presenta la figura di Bartimeo come per dirci che ciò che impedisce la nostra vera e piena felicità – il compimento dunque della volontà di Dio e del nostro desiderio più profondo – non è tanto negli impedimenti e negli ostacoli nella realizzazione di ciò che crediamo buono, ma piuttosto da una cecità che ha bisogno di essere guarita.

Vi è una cecità che ci impedisce di guardare la nostra vita con occhi diversi, secondo nuove prospettive. Una incapacità di riconoscere, talenti, doni, desideri che ci abitano. Vi è uno sguardo ottenebrato da tutto ciò che ha ferito o ferisce la vita dell’uomo, e che rischia di non farci cogliere la dimensione pasquale di alcuni passaggi fondamentali della vita. E questa cecità ha necessità di essere guarita, curata, salvata da Dio.

 

Bartimeo, sui bordi di una strada della Palestina, ci fa da maestro. Seduto nel suo piccolo angolo di strada sembra essere incatenato da una cecità che gli impedisce di cogliere e accogliere ogni possibile orizzonte di senso. Ma al passaggio di Gesù, alla presenza di Dio riconosce il suo bisogno: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! Come se dicesse: Abbi misericordia, prendi nelle tue mani la mia miseria, la mia piccolezza e donami uno sguardo capace di vedere i desideri profondi che mi abitano e di cogliere nel limite una benedizione, una occasione per dei passaggi pasquali!

Il suo grido attira l’attenzione di tutti e questa povertà, manifestata apertamente, mette in imbarazzo la moltitudine. La reazione della folla dei benpensanti sembra mettere in luce il disagio e la vergogna che si prova quando povertà, limite, ferite vengono portate alla luce… dovrebbero rimanere ai margini, in silenzio, senza occupare lo spazio e senza attirare l’attenzione che Bartimeo reclama!

Bartimeo invece sembra invitare il discepolo ad osare il grido di verità di una richiesta di salvezza, di una richiesta di guarigione: fa che io veda!... di nuovo! Liberami di nuovo da ciò che non mi fa cogliere la bontà del cammino nel quale Tu mi stai conducendo, dammi la forza di comprendere la prospettiva di vita che è nascosta in alcune Pasque che sto attraversando, aiutami ad osare percorsi di verità e di libertà che possono rendere il cammino agile e spedito… senza aver paura di riconoscersi poveri, mancanti, mendicanti. Senza temere di non scoprirsi perfetti, ma desiderando coltivare solo la comunione con Dio e con i fratelli.

 

Ma c’è un altro piccolo dettaglio che il Vangelo di oggi ci consegna… un dettaglio da non bypassare assolutamente! Al grido di Bartimeo, Gesù risponde coinvolgendo la gente. Chiamatelo! dice alla folla dei presenti. Come per sollecitare quella comunità di persone ad accompagnare il cammino di verità e di salvezza che Bartimeo chiede. Da solo non può riuscirvi… ha bisogno degli altri che lo conducano davanti al Maestro, che lo incoraggino a mettersi davanti a Lui, lì in mezzo alla folla, quasi per incoraggiarlo a non vergognarsi della sua situazione di bisogno. L’invito di Gesù dunque pone la domanda sulla responsabilità di una comunità. sembra rivolgersi allora anche alla comunità di credenti.

La sequela e il discepolato non è mai qualcosa di individuale, ma è un qualcosa che coinvolge responsabilmente anche una comunità, che deve sentirsi chiamata a portare ed incoraggiare i passi di verità e di libertà che ciascun discepolo è chiamato a compiere… camminare da soli non si può e non si è capaci!!

 

Allora, come e insieme a Bartimeo, accompagnati dalla comunità di fratelli e sorelle davanti al Signore per riconoscere la nostra necessità di essere salvati, il nostro bisogno di avere uno sguardo nuovo sulla vita, e il coraggio di osare i nostri desideri, lasciamoci raggiungere anche noi dalla domanda di Gesù: cosa vuoi che io faccia per te? e chiediamo al Signore di guarire le nostre cecità perché il desiderio che è stato posto in noi, sia portato a compimento da Dio, nella modalità e nella “forma” che il Signore ha pensato per noi… e che troverà la sua verità nella conformazione alla Pasqua del Signore.


P. Emanuele

 

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