Omelia della domenica (14/03/2021, VI Domenica del Tempo Ordinario, Anno B)
“Dio ha tanto amato
il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada
perduto, ma abbia la vita eterna”.
La difficoltà a
commentare il vangelo di oggi sta forse nel fatto che racchiude le parole più
belle, il cuore del messaggio che l’intera Parola di Dio vuole trasmetterci. E
aggiungere parole a quelle che sono le parole più preziose che possiamo
ricevere non è facile.
Si tratta in fondo
della dichiarazione d’amore di Dio: come un uomo che decide di esporsi totalmente
nei confronti della donna che ama, donandole un prezioso anello, frutto di
tanto lavoro e tanti sacrifici per acquistarlo, così Dio si dichiara al mondo
donando ciò che ha di più prezioso, suo Figlio, per rivelare l’intensità, la
totalità del suo amore per ogni creatura.
Il rapporto che Dio
vuole instaurare con gli uomini, con ciascuno di noi, è un rapporto di amore,
di dono incondizionato.
Domenica scorsa il
vangelo ci raccontava della cacciata dei mercanti dal tempio; con quei gesti,
persino violenti, Gesù ci diceva cosa non è Dio e quali non devono essere i
modi con cui rapportarsi con Lui. Trasformare la casa di Dio in un mercato
significa infatti pensare che in fondo anche il rapporto con Dio funzioni come
il commercio: gli offro un sacrificio per ottenere in cambio un beneficio; pago
una penale per espiare una colpa.
E allora oggi,
proseguendo la lettura dei primi capitoli del vangelo di Giovanni, Gesù ci
rivela chi è veramente Dio e qual è il modo di stare dinnanzi a Lui. Non è un
rapporto commerciale di dare per avere, di pagare per risarcire, ma è
innanzitutto un’iniziativa gratuita del suo amore: “Dio ha tanto amato il
mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). Tutta la Bibbia è
percorsa da questa convinzione: “Ti ho amato di un amore eterno” (Ger
31,3) dice Dio al popolo di Israele attraverso il profeta Geremia. Anche san
Paolo ha ben chiaro questo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel
fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rom
5,8). E anche nella seconda lettura di oggi il messaggio è lo stesso: “Dio,
ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti
che eravamo per le colpe, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia siamo
salvati” (Ef 2,4). È il desiderio di bene per il mondo, per ogni sua
creatura che muove Dio ad agire.
Ma quell’anello
prezioso che l’uomo dona alla donna, è ancora soltanto il simbolo del vero dono
che egli ha deciso di fare. Quell’anello simboleggia la propria vita, che
l’amante vuole donare, affinché anche l’amata abbia la vita in abbondanza. Il
dono del proprio Figlio è la dichiarazione di Dio per comunicarci la sua
propria vita, la vita piena, la vita eterna. Gesù, quell’anello con cui Dio si
lega al mondo, dice la volontà di Dio di salvezza per il mondo: il nome stesso
Gesù, che significa letteralmente “Dio salva”, è la dichiarazione di Dio del
suo desiderio di condividere, dare la sua vita divina all’uomo. La Pasqua, la
morte e la risurrezione di Gesù, raffigurata dall’immagine del serpente di
bronzo innalzato nel deserto da Mosè, è l’evento in cui viene offerta anche a
noi sui fratelli la vita eterna.
C’è però una cosa che a
prima vista stona in questo discorso: in mezzo a questa dichiarazione di amore
e promessa di vita si parla di condanna e di giudizio. Forse perché
istintivamente, pensando a Dio, l’uomo, l’amato, non riesce a fare a meno di
sentirsi indegno, peccatore. E allora Gesù ribadisce subito questo amore
incondizionato di Dio: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per
condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Quello che Gesù
condanna è un’idea di Dio che tradisce il suo vero volto, un’immagine
adulterata di Dio, gli idoli a causa dei quali i profeti nell’antico Testamento
rimproverano Israele di aver tradito Dio.
Domenica scorsa Gesù si scagliava contro l’idea di un Dio che si possa
comprare, addomesticare, piegare verso i propri desideri offrendogli in cambio
qualcosa; e invece si frequenta la casa di Dio, si partecipa alla liturgia per
scoprire qual è il desiderio di Dio su di noi, qual è la sua volontà su di me,
credendo fin da principio che è una volontà di salvezza e di vita piena.
E oggi l’ammonimento è
quello alla chiarezza, alla trasparenza: non può esserci un vero rapporto di
amore, né con Dio, né tra gli uomini, se non è vissuto nella luce, nella
verità. Non venire alla luce, preferire restare nelle tenebre,
nell’occultamento delle proprie scelte, delle proprie azioni, è un indizio,
secondo Gesù, che tali scelte e azioni possano essere malvagie, o perlomeno che
non sono fatte in Dio. Viceversa, conclude il vangelo, “chi fa la verità
viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state
fatte in Dio”.
Non è condannato
l’errore, l’opera malvagia in sé, ma l’ostinazione a nasconderlo o negarlo.
“Il maligno -scrive
il papa nella lettera per l’apertura dell’anno dedicato a san Giuseppe- ci
fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità; lo Spirito invece la
porta alla luce con tenerezza. Per questo è importante incontrare la Misericordia
di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di
verità e di tenerezza. Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità,
ma, se lo fa, è per condannarci. Noi sappiamo però che la Verità che viene da
Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona” (Lettera
apostolica Patris corde).
Con la letizia, che è
la nota di gioia che la chiesa tradizionalmente dà a questa domenica di metà
quaresima, con la letizia di questa rivelazione di amore e di misericordia di
Dio, avanziamo verso Pasqua nel
desiderio e con la richiesta di poter fare una profonda esperienza di tale
amore.
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