Omelia della domenica (2021.02.14 VI T.O. Anno B)

 

Ci sono due domande, due aspirazioni che abitano il cuore di ogni uomo e che in ogni epoca e in ogni cultura si è cercato di dare una risposta.

La prima è quella di capire, dare, trovare un senso alla propria vita. Senza un senso, senza una direzione vaghiamo senza meta. Qual’è il fine di questi ottanta, cent’anni che si sono dati di vivere?

La seconda domanda è quella che riguarda il rapporto tra me e gli altri.  Non c’è dubbio che abbiamo bisogno degli altri, dello stare insieme per poter vivere. E non solo nella fase della crescita e della formazione, per diventare degli adulti capaci di stare in piedi da soli: l’amicizia, l’amore di coppia e le tante altre forme di vita sociale possibili dicono questa innata qualità dell’uomo a cercare la relazione con l’altro.

Oltre al senso dell’io, della mia esistenza, c’è quindi anche una domanda di senso del noi, di cosa vuol dire e come rispondere a quello che è allo stesso tempo un bisogno e un desiderio di relazione.

Il vangelo, come ogni altra religione, cultura, filosofia, dà una sua particolare risponda a queste domande esistenziali dell’uomo.

Alla domanda personale di senso della propria vita la Parola di Dio ci risponde con la santità. “A cosa serve vivere? La vita -ci dice il Vangelo- è un cammino di santità, è un’opportunità per diventare santi”. In un recente documento il papa ha scritto: “Per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità, perché “questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (GE 19). Non dobbiamo pensare immediatamente a quei modelli di santità irraggiungibili che più che attirarci rischiano di scoraggiarci e farci desistere da un tale proposito. “La santità, continua il papa, non è altro che la carità pienamente vissuta”, in quella concretezza e quasi banalità che la vita di tutti i giorni ci offre.

E alla domanda del noi, di cosa significa vivere insieme, di come essere in relazione gli uni con gli altri, il vangelo ci risponde con la parola “comunione”. Fonte e culmine della vita cristiana è la liturgia, e in particolare l’eucaristia perché lì, seppur ancora solo nella forma del segno, del sacramento, si esprime la nostra unione a Dio e insieme riceviamo il nutrimento per costruire, con la carità, l’unione tra di noi. La preghiera che Gesù rivolge al Padre affinché siamo perfetti nell’unità, affinché siamo una cosa sola, è anche la preghiera che ci consegna: siamo un “noi” composto da fratelli e sorelle che si rivolgono a Dio chiamandolo Padre nostro.

Santità e comunione sono dunque le risposte cristiane alla domanda di senso della propria vita e all’aspirazione profonda di relazione che portiamo dentro.

Eppure viviamo in un tempo -ma probabilmente ogni epoca ha potuto dirlo- in cui santità e comunione ci sembrano proposte al di fuori della nostra portata, al di sopra delle nostre reali possibilità. Con i ritmi, le esigenze, i compromessi che lo stile di vita ci impone, e le complicazioni che la pandemia ha aggiunto, già ci sembra tanto riuscire a mantenere una vita personale equilibrata, e avere delle relazioni in cui almeno ci si rispetti a vicenda.

 

In realtà questa situazione non fa che mettere ancora più in luce quello che semplicemente siamo: ogni giorno facciamo esperienza del nostro limite, del nostro peccato; e di fronte a tali esperienze è comprensibile che non osiamo più credere -sebbene non possiamo nemmeno soffocarne l’aspirazione-, alla grandezza, alla bellezza, alla felicità che la nostra vita è ed è chiamata ad essere. E tanto meno osiamo più credere -pur conservandone il desiderio- alla possibilità di relazioni profonde, siano esse di amicizia autentica, di un amore promesso per sempre, di una vita fraterna che si rafforza nel tempo.

Ma c’è qualcosa che potrebbe ancora farci desiderare una vita santa, pur rimanendo nell’esperienza quotidiana del nostro peccato?

C’è qualcosa che potrebbe ancora farci sperare una relazione profonda di comunione con l’altro, pur constatando il limite mio e suo?

Il vangelo di oggi ci dice di sì. È l’esperienza della misericordia e del perdono. “Signore, se vuoi puoi purificarmi”. Signore, non puoi avermi messo nel cuore un tale desiderio di bellezza, di bontà, di carità, non puoi avermi messo nel cuore una tale aspirazione di un amore per sempre, senza offrirmi la possibilità di ricominciare, di ritornarci a credere dopo ogni fallimento, caduta, tradimento, che sperimento in questo cammino. Signore, se mi hai dato di aspirare alla santità e alla comunione è perché hai stabilito che non c’è impurezza né peccato che possano annullare queste aspirazioni, quando mi rivolgo a te per essere perdonato e purificato. “Signore, se vuoi puoi purificarmi”, se vuoi puoi disarmarmi della violenza che mi divide da mio fratello, puoi liberarmi dalla pretesa di essere giusto, puoi correggermi del mio egoismo, guarirmi dall’incredulità di saper e poter ricominciare ad amare…

E allora trova tutta la sua bellezza il salmo che abbiamo appena cantato:

Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e perdonato il peccato.

Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno.

Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa.

Ho detto: “Confesserò al Signore le mie iniquità” e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato”.

Di fronte a quell’uomo inginocchiato che implora la guarigione, Gesù ha compassione di lui, gli fa fare un’esperienza di misericordia tendendo la mano e toccandolo, dicendogli “Lo voglio, sii purificato”. Guarendolo lo riabilita alla frequentazione del tempio e alla vita sociale, cioè lo rimette sul cammino della santità e della comunione. E consegna ai suoi discepoli, alla sua Chiesa, dei tempi e degli strumenti propizi per essere risollevati dopo ogni caduta e riprendere il cammino.

La quaresima che sta per iniziare è per eccellenza quel tempo di purificazione per risvegliare nel nostro cuore il desiderio della santità e della comunione. E il sacramento della riconciliazione è lo strumento per eccellenza che ci svela l’amore misericordioso di Dio, amore grazie al quale possiamo continuare a credere che la nostra vita, pur nella sua miseria, è davvero qualcosa di grande e che, come scrive san Benedetto, siamo incamminati, tutti insieme, verso la vita eterna.


Fr Amedeo


Commenti

Post più popolari