Omelia della domenica (2021.01.31 - IV TO Anno B )

La preghiera iniziale di questa Messa ci fa pregare dicendo: “Concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l'anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo”. Chi di noi non vorrebbe amare? Eppure chi di noi può dire: “Io so amare?” E’ un tale mistero e così grande che appena diciamo: “Io amo”, specialmente se lo diciamo per Dio o secondo il comandamento di Dio, ci sentiamo assolutamente inadeguati. 

Così come per la fede e la speranza. Sono virtù che ci portano al di sopra delle nostre forze: eppure il Signore ce le chiede, e sappiamo che se davvero le desideriamo lui ce le dà, non in modo pieno e definitivo, la nostra fragile natura umana non lo sopporterebbe, ma come una luce che rischiara il cammino e la meta. E, naturalmente bisogna chiederle, perché occorre la nostra volontà, se no non c’è amore.

Ma qualcosa in noi davanti a una cosa tanto bella e grande grida: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?”. Infatti è una cosa tanto bella, ma ne abbiamo paura e crediamo che amare sul serio ci distrugga, per cui mettiamo sempre tanti paletti: dei se, dei ma, dei forse e dei però. 

E siamo divisi in noi stessi. Davanti al Dio che è sceso fino a noi in una volontà d’amore infinita e che ci porta la Vita, l’Amore, la Pace, l’Amicizia perché abbiamo paura e gli chiediamo di allontanarsi? Se c’è un mistero di Dio, esiste anche il mistero del cuore dell’uomo e ancora più quello del Nemico, che non vuole che il Signore prenda possesso della nostra persona e ne faccia la sua dimora, rendendoci felici. Perché a Dio diciamo: Che vuoi da noi? Da dove nasce questo sospetto sul suo avvicinarsi a noi? Anche se a parole dichiariamo che lo desideriamo, l’attendiamo, e non abbiamo nulla di più caro che lui. “Io so chi tu sei: il santo di Dio!” L’avvicinarsi di Dio mette paura: siamo figli di Adamo, che all’arrivo di Dio si è nascosto in un boschetto. 

La sua santità brucia il nostro essere peccatori; viene per salvarci, ma a noi sembra che il nostro peccato sia una cosa per noi irrinunciabile e un profluvio di parole mette ostacolo all’incontro: perché mette un velo su quell’innocenza che in noi desidera il Bene e il Bello, la Felicità. E non la riconosciamo più, né in noi né negli altri.

Il Signore conosce il cuore dell’uomo e sa che un incontro diretto con il fuoco divino per le creature non è sopportabile. Per questo ha scelto dei mediatori, come Mosè e i profeti, che hanno preparato un popolo rendendolo bendisposto alla sua Parola. E con quanta fatica e quante cadute! Ma certo non era sufficiente. Il Creatore ci ha creati per amicizia e i mediatori non possono mediare l’amicizia: occorre la presenza. E Gesù è la presenza più totale dell’amicizia di Dio adattata alla fragilità dell’uomo. 

Questo ha fatto infuriare il Nemico, che credeva di aver rotto definitivamente quell’amicizia che lo ingelosiva, ma non ha tenuto conto della Misericordia, che a lui è totalmente sconosciuta, perché l’ha rifiutata fin dall’inizio. E allora grida: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?”: effettivamente il Cristo è venuto a distruggere il potere dell’odio, dell’inimicizia, dell’uomo lupo per l’uomo, e ha aperto una nuova prospettiva che, passando dal perdono e dalla misericordia, conduce alla riconciliazione e quindi all’amore. Ma Gesù dice: “Taci!

Esci da lui!”. Davanti a lui, che è la Parola vivente, tutto deve tacere e lasciare il posto usurpato. Il silenzio diventa una scuola di ascolto. Molte volte il Signore deve dirci “Taci”, perché con i nostri ragionamenti rovinati dalle passioni malvagie noi confondiamo le nostre e le altrui idee, e non permettiamo di vedere la Verità. Ma fa di più: ci libera da una schiavitù in cui siamo stati messi abusivamente, senza che noi ce ne accorgessimo. Servi e amici di Dio, siamo stati rubati e trascinati su vie non buone. Mentre Dio ama abitare nell’uomo e ci chiama ad dimorare in lui. 

Arrivando trova il posto occupato; allora deve impiegare una forte severità per rimettere a posto le cose e porci di nuovo nella giusta relazione con lui. 

San Paolo col suo discorso sulla castità e il matrimonio, non è negativo su di esso: Dio l’ha voluto come cosa buona, come coronamento della sua creazione. Ma parlando del matrimonio mette tutti in guardia sulla gerarchia dell’amore: nulla può farci dimenticare che Dio va amato e obbedito prima di tutto il resto, fossero pure le cose più belle. E’ questa la sorgente della vita umana e a non lasciarla scorrere noi appassiamo. E’ anche per questo che davanti alla sua Parola di autorità il Nemico urla e strazia, ma deve uscire. 

Questa cosa continua ed è per noi un atto di fede: il Male non ha vinto e non vince, anche se l’azione dell’amore divino lo strazia. Sembra straziare noi, ma noi siamo liberati e, come il Signore ha portato nella sua carne l’odio del Nemico, così noi portiamo nella nostra la liberazione violenta da esso: ci fa male, ci ferisce, distrugge il castello dei nostri ragionamenti e dei nostri gusti, ma ci libera e ci dona la Vita.


 

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