L'omelia di P.Cesare Santa Famiglia

A San Giuseppe è stato chiesto di prendersi cura del Figlio che Maria, sua Sposa, aveva concepito
per opera dello Spirito santo e il suo ruolo è stato proprio quello di prendersi cura di Maria e di
Gesù: può sembraci una figura di secondo piano, ma è un faro per la nostra vita. Nella luce del
Natale la Chiesa festeggia, medita e contempla il Verbo che si è fatto membro di una semplice
famiglia umana e l’ha santificata. San Giuseppe, nella sua semplice obbedienza silenziosa è un
aspetto fondamentale della santità di quella famiglia umana in cui era racchiusa la Salvezza del
mondo. Dio, Verbo fatto carne, si è messo nelle mani degli uomini in una estrema fragilità e ci parla
della fragilità di ogni essere umano, chiunque esso sia; per questo il "prendersi cura" è qualcosa di
immensamente grande, anche se è fatto di gesti semplici e umili come quelli che Maria e Giuseppe
possono aver avuto nei confronti di quel bambino a loro affidato dalla bontà divina, che vuole che
tutti gli uomini siano salvi.
"Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto" oppure "alzati, va’ nella terra
d’Israele": nella scia dei grandi patriarchi, guidati dalla Provvidenza divina, Giuseppe è l'obbediente
e, nella sua obbedienza, scrive una nuova pagina nel libro della storia della salvezza come vero
figlio di Abramo, che silenziosamente, ma con rapida decisione, interviene nel pezzettino di storia a
lui affidato. Come capo-famiglia porta sulle sue spalle tutta la pesante responsabilità che il Signore
gli affida e la sua famiglia porta tutta la storia e il destino del mondo.
San Paolo nella lettura che abbiamo sentito chiama i Colossesi: "Fratelli, scelti da Dio, santi e
amati": prima ancora di guardare tutte le virtù umane che descrive al seguito, soffermiamoci su
queste parole, perché nella famiglia di Giuseppe possiamo vederle realizzate in modo semplice,
senza grandi miracoli e quindi possiamo sentirci interpellati anche noi. Siamo scelti da Dio come
Maria e Giuseppe per accogliere il Verbo di Dio che viene sulla terra per essere come uno di noi e
salvare l’umanità intera dimorando in noi, in mezzo al suo popolo, nel cuore del mondo. Accogliere
vuol dire farlo vivere nelle nostre vite e presentarlo a quanti ci incontrano. Anche se Bambino e
senza nessuno splendore evidente, Gesù sia in fuga verso l’Egitto, come nel correre per le viuzze e
le piazze di Nazareth, operava la salvezza, protetto e portato dalla santa Coppia a cui il Padre
l’aveva affidato. Qual’è il compito della Chiesa oggi, cioè il nostro compito, se non essere là dove
siamo coloro che continuano la missione della coppia di Nazareth?
Giuseppe avrebbe voluto, tornando dall’Egitto, far vivere il Figlio di Davide nella sua città in
Giudea, ma la prudenza che ci permette di vivere nella storia, l’ha condotto nella lontana periferia
della Galilea, in una città da cui non sembrava potesse sorgere qualcosa di importante. Dio
incarnandosi ci ha insegnato che la vera potenza che salva, che illumina l’umanità e la conduce al
Bene, non può sorgere che dal basso, dall’umiltà, perché non può essere imposta con nessuna forza,
ma solo ricevuta liberamente dagli umili che sono assetati di salvezza, di vera umanità, di parole
che affratellano, di un amore che porta la pace. Tutto questo lo troviamo nella santa Famiglia. Certo,
come dice l’orazione, in essa troviamo un esempio di virtù e di amore che possono far rinascere il
mondo e la società, ma non mi sembra che si può ridurre il mistero della santa Famiglia ad un
esempio di belle virtù e di un tenero amore, come se ciò che conta e di cui abbiamo bisogno, oggi
come sempre, sia un clima di affetto in un nucleo chiuso, in cui si sta bene insieme. Nessuna
famiglia può essere ridotta a questo semplice ruolo; tanto meno la famiglia di Giuseppe in cui il
Figlio unico portava in sé il peso e la fragilità di ogni uomo che viene in questo mondo e il compito
di condurre tutta la creazione alla pienezza della beata comunione con la Trinità.

Detto questo, possiamo far nostro tutto l’insegnamento della Scrittura, dell’Antico come del Nuovo
Testamento, di cui abbiamo un esempio nelle letture della Messa di oggi, per ricordarci
l’importanza della vita comune e del fatto che l’amore che salverà il mondo non nasce in contesti
creati apposta, ma là dove siamo e che la pace di cui siamo tanto assetati trova le sue radici nel
primo nucleo umano in cui impariamo a vivere. Ma la missione di ciascuno di noi è ben più vasta e
se ci contentiamo di guardare solo ai vicini possiamo creare un mondo di un crudele egoismo.
Anche noi siamo chiamati ad andare in Galilea, quella che il Papa chiama la periferia, ed essere
nascosti in una pasta in cui il nostro clan non domina, perché il Dio eterno ed onnipotente, il Re dei
re e il Signore dei Signori, volontariamente si è posto in quella condizione e noi dobbiamo credere
che non poteva salvarci se non con la vita che ha scelto e che sconvolge le nostre sicurezze.

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