Omelia per la XIV domenica del Tempo Ordinario - Anno C (6 luglio 2025)


 


Rallegrarsi… questo è l’invito, questa è la chiave di accesso della Parola di Dio che oggi ci è donata.

Attraversa infatti le pagine della Scrittura che abbiamo ascoltato, e mi colpiva che questo invito si trovi all’inizio e alla fine delle letture proclamate.

Nella prima lettura infatti abbiamo ascoltato il profeta Isaia che apre il suo discorso invitando i suoi ascoltatori a rallegrarsi con Gerusalemme per la promessa di una abbondanza di vita, di pace e di consolazione sul suo popolo che il Signore sta per realizzare. E la pagina di Vangelo si conclude con l’esortazione di Gesù a rallegrarsi non tanto per i successi della predicazione dei discepoli, quanto per il fatto che i loro nomi sono scritti nei cieli.

C’è dunque una gioia nella quale siamo invitati ad entrare, ed è questo un appello, un imperativo: rallegratevi!

Rallegrarsi… ma perché?

Ci sono giorni o fasi della vita che somigliano piuttosto ad un calvario, una partecipazione alla croce del Signore ed è difficile poter accogliere questo come un “vanto”, come ci provoca san Paolo.

Ci sono momenti in cui siamo spaesati, smarriti perché vengono meno i solidi punti di riferimento su cui avevamo appoggiato la nostra vita. Allora come entrare nella gioia? Come rallegrarsi? O meglio… perché rallegrarsi?

Paolo ci invita a puntare sulla sola cosa che conta: essere nuova creatura, lasciando che la nostra mente e la nostra prospettiva sia completamente trasformata dall’unica certezza: i nostri nomi sono scritti nel cielo!

Il cielo è il luogo della dimora di Dio, e i nostri nomi sono “scritti”!

Quando si scrive qualcosa è perché si vuole custodire in perenne memoria. E questo forse è un modo per dirci che Dio non si dimentica di noi, il motivo del nostro rallegrarci è che siamo nel pensiero di Dio… costantemente, sempre! Egli si prende cura di noi da sempre e per sempre e non c’è nulla e nessuno che possa distoglierLo da noi sue creature.

E mi sembra che il Vangelo ci parli proprio di questo suo amore, scendendo nel concreto delle nostre vite.

Dalle parole di Gesù abbiamo ascoltato l’invio dei discepoli in missione, ma in questo invio mi piace ritrovarci lo stile di Dio. Gesù consegna ai 72 mandati in missione tutta una serie di imperativi:

andate, non portate borsa, entrate nella casa, dite pace, restate in quella casa, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati, dite che il regno dei Cieli è vicino

Questi imperativi, queste esortazioni non sono il buon manuale del discepolo perfetto che un signore, dall’alto della sua cattedra consegna ai suoi sudditi chiedendo che i sudditi corrispondano alle sue aspettative, chiamati a vivere cose che forse Egli stesso non ha mai vissuto.

Gesù, invece, esortando i discepoli non fa altro che ricordare uno stile che Egli stesso ha vissuto in prima persona. Lui ci ha dato un esempio e questi imperativi ci parlano del Suo cuore, del Suo amore per noi, ancor prima che essere un elenco di cose che noi dobbiamo fare.

Andate dice Gesù! Ma in fondo questo è il movimento che ha sposato per primo quando, come buon pastore,  ha voluto e continua a voler andare alla ricerca della pecora perduta, che siamo noi. Non attende passivamente nel luogo della Sua dimora, ma a tutti si fa incontro attraverso mediazioni che ciascuno di noi può essere capace di cogliere: la Scrittura, la presenza discreta di un fratello, di una sorella che si fa vicino in un momento di bisogno, un evento, un incontro.  

Non portate borsa…

Gesù non ha chiesto garanzie per sé. La Sua vita è stata semplicemente dono. Non ha trattenuto nulla, consapevole che la sua fiducia e la sua stabilità è profondamente radicata nel cuore del Padre, che si prende cura di ogni creatura.

Entrate nella casa

È Gesù per primo che è entrato nelle case, nella vita quotidiana e ordinaria di ogni uomo, di ogni donna. Non è rimasto e non rimane indifferente alle gioie e alle sofferenze di ogni sua creatura… sono belli i salmi che ci consegnano parole come queste: ti sono noti tutti i miei pensieri, le lacrime mie nell’otre tuo raccogli!

Dite pace

Pace è il primo dono che vuole comunicare! Pace è il saluto con il quale Gesù entra nella vita dell’uomo, cercando di mostrare che dove Lui è presente ogni minaccia e ogni paura perde ogni sua consistenza. La vera nemica della pace è la paura: paura che la vita non sia in abbondanza, paura che ci perdiamo, paura che l’altro rappresenti una minaccia. Lui il Risorto ci saluta con il dono della pace. Lui, sulla barca delle nostre esistenze può mettere a tacere ogni tempesta… perché temere?

Restate in quella casa

Restare è il verbo proprio di Dio. Lui resta, prende dimora, non ci abbandona sebbene possiamo percepire il Suo silenzio! La Scrittura ci ricorda che noi siamo tempio di Dio e la Sua presenza è stabile nel nostro cuore. Non ci abbandona, non prende distanza, Lui rimane e attende che noi abbiamo il coraggio o sentiamo la necessità di ripercorrere quel sentiero che ci riconduce lì dove Lui abita, quel sentiero che ci fa rientrare in noi stessi.

Mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati

Dimorando nella nostra casa, il Signore non chiede che gli sia offerto qualcosa di diverso rispetto a quello che siamo in grado di donare. Si accontenta di pochi pani e pochi pesci… da quel poco che gli possiamo offrire saprà farne cose grandi. Gioisce di quel poco che siamo, perché sa vedere in quel poco donato il tutto… come i due spiccioli di quella vecchina al tempio. E questa accoglienza guarisce.

Allora veramente è possibile rallegrarsi, non tanto perché si sono compiute opere prodigiose, ma perché in Gesù i cieli si sono piegati, il Regno dei Cieli è vicino! Lui il primo che ha vissuto questi imperativi… imperativi della carità!

Che il Signore ci dia occhi capaci di cogliere il Regno in mezzo a noi, perché possiamo rallegrarci e perché, come Lui, possiamo fare anche noi!


fr. Emanuele

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