Omelia della domenica II di Avvento (05/12/2021 – Anno C)
Tutta la serie di nomi con i quale inizia il
vangelo di oggi rivela la preoccupazione di S. Luca di inquadrare i fatti che
narra in un contesto storico, geografico e religioso ben preciso. E’ come se volesse
ricordarci che anche per noi c’è un periodo “avanti Cristo” e “dopo Cristo”. Ci
sono stati un tempo e uno spazio ben definiti in cui il Signore è entrato nella
nostra vita, e l’ha cambiata radicalmente. Come non ricordare qui la
riflessione di S. Bernardo sui tre avventi? C’è un avvento di Cristo nella
Storia, con la sua incarnazione, c’è un ultimo suo avvento, quando verrà sulle
nubi del cielo a giudicare la terra, e ce n’è uno intermedio, che avviene ogni
giorno, e che collega il primo all’ultimo. Il Cristo entra nella nostra vita di
tutti i giorni, con la Sua Parola e l’Eucaristia, con la sua presenza in ogni
fratello e negli avvenimenti della nostra vita concreta. A questo incontro
dobbiamo sempre essere preparati con una vigilanza amorosa e operosa. Ma oggi
Giovanni Battista ci ricorda che questa
preparazione a ricevere il Signore che viene ha luogo soprattutto “nel
deserto”, come per l’antico Israele durante l’Esodo. Il deserto è il luogo
ideale per l’ascolto e l’incontro con Dio: non ci sono distrazioni, solo
sabbia, pietre, cielo e silenzio profondo: nessun punto di riferimento se non
Dio che parla e guida il cammino. E’ luogo di purificazione, dove tutto è
necessariamente ridotto all’essenziale. E per questo è il luogo propizio per la
conversione, come ben sapevano i nostri padri: i primi monaci, che prendono
proprio Giovanni Battista, il figlio di Zaccaria, come uno dei modelli
privilegiati da imitare per il loro cammino spirituale. E anche Gesù, il Verbo
fatto carne, la Parola per eccellenza,
prima di iniziare la sua vita pubblica, si immergerà nel silenzio e nella
solitudine del deserto.
Giovanni è “la voce che grida nel deserto”,
per tutti noi, ci invita a “spianare” la via regale al Signore, come si faceva
per i re di quel tempo. Spostando i due punti la frase assume un altra
sfumatura che ci coinvolge tutti: “Io sono la voce che grida: nel deserto
preparate la via al Signore”. E’ un invito a fare silenzio e a imitare il
precursore nella sua vita sobria ed essenziale, nel suo amore per la verità e
per la Parola di Dio, nel suo aprire tutti i cuori perché incontrino Gesù: il
Verbo fatto carne. Come non ricordare qui la stupenda riflessione di S.
Agostino su Giovanni Battista, definito “la voce” che prepara noi tutti ad
accogliere il Verbo: “Lui deve crescere, io diminuire.” È il suo motto: quando
ha aperto i cuori a Cristo lui scompare: la voce tace perché è giunto il Verbo.
E’ un invito per noi tutti a fare deserto
nei nostri cuori, sbarazzandoci per qualche tratto prolungato di tempo di tutto
il chiasso e delle cose superflue che lo ingombrano. E’ un invito a guardare
solo le realtà vitali ed essenziali, a cambiare in meglio, a diventare
semplici, limpidi, puri, silenziosi, pieni di di un amore che ascolta e incarna
la Parola, come ci insegna bene la Vergine Maria: l’altro modello di “attesa”
che la liturgia di questo tempo di Avvento pone davanti ai nostri occhi e al
nostro cuore. Il grandi padri cistercensi delle origini in questo tempo
invitano la Chiesa tutta (che è sempre la loro comunità monastica concreta) e
le singole anime dei monaci a diventare “un nuovo grembo della Vergine Maria”,
aperto alle “visite del Verbo”, un grembo che recepisce, accoglie e incarna la
Parola, e la genera nel proprio tempo e nel proprio ambiente. Nell’Apocalisse
il Signore da di se stesso questa definizione: Io sono Colui che è, che era e
che “viene”… non “che verrà”! Viene oggi, sì, proprio in questo “attimo
fuggente”, anche durante la pandemia e nel cambiamento epocale che coinvolge
tutta la Chiesa e la vita religiosa in particolare, pervadendo tutta la nostra
persona e il nostro tempo, e, se lo sappiamo accogliere e incarnare, costruisce
in questo attimo che passa la nostra eternità. Ogni attimo è quindi Kairòs:
tempo opportuno per incontrarlo e cambiare vita. Ed ecco che i monti si
spianano, i burroni si colmano, le vie tortuose diventano diritte e i luoghi
impervi spianati. S. Bernardo parla di “homo incurvatus” l’uomo peccatore è
completamente ripiegato e chiuso in se stesso, ma se si apre a Cristo ridiventa
“diritto”: “nuovo”; un nuovo Adamo formato sull’immagine di Cristo, che
diffonde intorno a sé il suo “dolce profumo”: il suo “stile”. L’aggettivo
“tortuose”, o anche “contorte” riferito alle vie da raddrizzare mi riporta alla
memoria un particolare della letteratura inglese. Nelle tragedie di Shakespeare
i personaggi nobili o corrotti, i “cattivi”, hanno sempre un linguaggio
tortuoso e contorto, pieno di termini complicati derivati dal latino e
dall’antico francese, e le loro frasi sono ambigue, cosparse di doppi sensi,
oscure … mentre i poveri parlano un linguaggio semplicissimo ed essenziale,
comprensibilissimo, fatto di monosillabi tratti dall’antico tedesco e, ciò che
conta di più: sono gli unici personaggi capaci di pregare.
Citando il profeta Isaia, il Battista ci
invita tutti a questa essenzialità e spogliazione, esteriore ed interiore, ad
abbattere gli ostacoli che ci sono fra noi e Dio, e fra noi e i fratelli. Ci
invita all’ascolto profondo della Parola di Dio e alla preghiera, ad amare il
silenzio e la solitudine pieni solo di Dio e della preoccupazione per per la
salvezza e il benessere dei nostri fratelli. E’ un bel programma di vita per
prepararci al Natale: alla grotta di Betlemme arrivano solo le persone povere e
semplici, i pastori: solo loro sono pervasi dalla gioia: i potenti, i
“tortuosi”: Erode, e i farisei, provano solo turbamento alla notizia della
nascita del Messia, e cercano, o cercheranno, di toglierlo di mezzo: Erode con
un linguaggio contorto e mentitore vorrà farsi indicare dai magi il Messia per
ucciderlo, e non per adorarlo: nessuna meraviglia, aveva fatto uccidere anche i
suoi figli per paura che gli usurpassero il trono, non poteva aver pietà né del
Bambino Gesù né dei bambini di Betlemme. Solo i Magi, re d’oriente, che
accettano di mettersi in viaggio in un cammino di spogliazione e di
conversione, attenti ai segni dei tempi, e pronti a donare le loro ricchezze e
il loro potere, quindi a farsi poveri e pellegrini, riescono a incontrare il
Messia, mescolati ai pastori. E’ un invito pressante a un cammino non certo
facile, ma che ci porta a una gioia sicura e all’incontro con una Persona che
può pervadere tutta la nostra vita, darle un senso, cambiarla dall’interno e
risanare tutti i mali, dentro e fuori di noi.
“Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”:
quando l’italiano traduce “uomo” in greco è σάρξ: carne, cioè l’uomo nella sua
debolezza e fragilità. E anche questo è molto suggestivo: la salvezza di Dio
sarà vista e sperimentata solo se si accoglie e accetta come dono la propria
fragilità e il limite che ci deriva dalla consapevolezza di essere di povere
creature, ma proprio per questo tanto amate da Dio!
Questo ci fa cercare e attendere
appassionatamente il Medico celeste che ci guarisce, ci colma, ci abbassa, ci
raddrizza e ci spiana, perché ci sentiamo sicuramente salvati e felici, mentre
lavoriamo alacremente, vivendo in Lui, all’edificazione del suo Regno.
Fr. Gabriele
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