Omelia per la XXIX domenica del Tempo Ordinario (19 ottobre 2025 - Anno C)

Quando una storia l’abbiamo ascoltata tante volte, ormai
conoscendone il contenuto e la finale, rischiamo di non riuscire più a
coglierne l’insegnamento di fondo e i particolari che l’autore voleva
trasmettere. E questo mi sembra possa accadere in modo particolare con il
vangelo di oggi, in cui c’è un generale sconvolgimento dei ruoli e delle
qualità dei personaggi implicati, per provocare il lettore.
Per insegnare che bisogna pregare incessantemente, senza
scoraggiarsi, Gesù ricorre ad una parabola in cui paradossalmente colui che
dovrebbe ascoltare ed esaudire la preghiera, vale a dire Dio, è un giudice
disonesto che non teme Dio e non ha riguardo per alcuno. Seppur nel modo
anonimo della parabola, che sfrutta altri personaggi per parlare di noi e a
noi, il Signore ci sta rivolgendo una domanda molto provocatoria: “Non capita
anche a te, nella tua preghiera, di avere la sensazione di rivolgerti ad un Dio
che non ascolta, ad un Dio ateo, nel senso che sembra lasciar andare la storia
e il mondo secondo dei valori totalmente opposti a quelli che crediamo essere
divini, quali la giustizia, l’amore, la pace? A un Dio che non ha riguardo di
alcuno, che non ascolta il grido del povero, dello sventurato, … e anzi sembra
favorire i potenti di questa terra e quasi tramare con loro, come la parabola
lascia intendere che avvenga tra il giudice iniquo e l’avversario della vedova?
Se anche questa sensazione attraversa i nostri pensieri, non
dobbiamo scandalizzarci; è un pensiero che ha accompagnato tanti uomini
presenti nella Bibbia, a partire da Giobbe, che discute per una quarantina di
capitoli su chi è o chi dovrebbe essere Dio, prima di arrivare ad entrare
finalmente in dialogo con Lui.
Perché in fondo è questo il cammino che il vangelo di oggi
vuole farci fare, introducendo l’altro personaggio chiave della parabola. Si
tratta di una vedova, che nella cultura del tempo, insieme all’orfano e allo
straniero, rappresentano le categorie più fragili della società, in quanto non
hanno nessuno che li difenda e si prenda cura di loro. Ci aspetteremmo quindi
una donna che molto umilmente si presenta al cospetto del giudice con timore
grande, per supplicare pietà. Ma di nuovo il vangelo ci spiazza, descrivendo
invece una donna che con audacia si presenta
ripetutamente davanti al giudice per quasi ordinargli di farle
giustizia, al punto che quest’uomo -che dichiara di non temere Dio- inizia a
temere questa donna, e si decide di esaudirla non solo per non essere più
infastidito, ma perché ne la vede come un pericolo e una minaccia (il verbo
greco utilizzato allude addirittura al pugilato, alla possibilità di uscirne
con dei lividi, con un occhio nero). C’è quindi un’altra domanda che il Signore
ci rivolge
tracciando questa immagine dell’orante, del credente: “Con
quale forza, con quale intensità, con quale ardore ti rivolgi a Dio nella
preghiera? Quanto osi con Dio?
Certo, abbiamo tutti sperimentato che i nostri desideri e le
nostre richieste spesso tardano ad essere esauditi, o non lo sono affatto. In
questo ritardo o inadempienza si potrebbe vedere la pedagogia di un Dio che
vuole condurci dal desiderio dei suoi doni al desiderio di Lui, che vuole
educare il nostro insaziabile desiderio insegnandoci che solo Lui può colmarlo.
Dal carcere, in attesa dell’esecuzione capitale, il teologo Bonhoeffer,
constatando il momentaneo fallimento dei suoi progetti e del suo impegno per
costruire un mondo migliore, scriveva: “Dio non esaudisce i nostri desideri, ma
rimane fedele alle sue promesse”; possiamo credere che Dio rimane fedele alle
sue promesse, seppur non esaudisca le nostre richieste.
Su questo invito a continuare a credere nonostante tutto,
emerge un terzo paradosso di questo vangelo. Gesù conclude questo racconto
assicurando che Dio farà prontamente giustizia a coloro che gridano giorno e
notte verso di Lui. Ma subito dopo si chiede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando
verrà, troverà la fede sulla terra?”. È strano che il Signore
da un lato voglia rassicurarci dell’ascolto da parte di Dio, e subito dopo sia
lui stesso a dubitare che saremo capaci a conservare la fede fino al suo
ritorno. Forse più che strano, si potrebbe dire che è umano, che anche Gesù ha
sperimentato l’esitazione, ha conosciuto
il dubbio … Ma cogliere in Lui questo tratto di umanità, di fragilità, e
osservare come ha saputo starci e attraversarlo per proseguire la sua missione,
può suggerirci qualcosa di molto prezioso.
Perché il dubbio fa parte dell’esperienza di ciascuno di
noi: di fronte a una scelta di vita che sembra essere da tempo giunta ad un
punto morto, ha sento continuare a starci? Di fronte a un’apparente inutilità
del proprio spendersi, educare, impegnarsi, ha ancora senso donarsi? Di fronte
al rifiuto, all’opposizione che si riscontra in una proposta di bene, in un
progetto di amore, ha ancora senso perseverare fino in fondo? Probabilmente
anche Gesù è stato abitato, attraversato da queste domande -tanto più che la
posta in gioco era la sua stessa vita- constatando l’apparente fallimento del
suo annuncio, che più tardi san Paolo riproporrà a Timoteo, nella seconda
lettura: “annuncia
la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera,
esorta con ogni magnanimità e insegnamento”. Eppure, di fronte al
rifiuto dei suoi oppositori, all’incomprensione dei suoi stessi discepoli,
all’incertezza di trovare ancora la fede al suo futuro ritorno, ha comunque
scelto di proseguire la via del dono di sé, dimostrando di credere che Dio
rimarrà fedele alle sue promesse seppur non esaudisce oggi le nostre richieste.
Con questa apparente innocua parabola, il Signore ci mette
dunque oggi dinnanzi alle questioni cruciali della nostra vita e della nostra
fede:
- Quale idea, quale
immagine ho io oggi di Dio, confrontandola con il giudice iniquo della
parabola?
- qual è il mio modo di
pormi davanti a Dio, rispetto all’audace atteggiamento di questa vedova?
- confortato dall’esitante
l’umanità di Gesù stesso, che di fronte all’insuccesso si interroga
sull’opportunità di proseguire la sua missione, riesco a guardare alla mia vita
non in base ai risultati attuali raggiunti, ma secondo la promessa che Dio mi
ha fatto?


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