Omelia per la XXX domenica del Tempo Ordinario (27 ottobre 2024 - anno B)
Gli incontri che Gesù ha fatto in queste ultime domeniche,
potremmo vederli come altrettante forme di cecità a cui il Signore offre un
rimedio, una guarigione:
- al giovane ricco di quindici giorni fa, che non vedeva
cos’altro doveva fare per avere la vita eterna, Gesù propone uno stile di vita
vissuta non nello sterile adempimento esteriore di precetti, ma nell’adesione
del cuore, sincera e gioiosa, alla sua persona e alle conseguenti scelte
quotidiane di vita;
- ai due discepoli che domenica scorsa erano accecati dalla
brama del potere e del prestigio “concedici di sedere, nella tua gloria, uno
alla tua destra e uno alla tua sinistra”, Gesù offre la via del servizio,
del prendersi a cuore il bene di quanti ci sono affidati.
Il racconto di oggi in cui il protagonista, Bartimeo, è
effettivamente non vedente, traccia un percorso per affrontare le tante
possibili cecità che ci troviamo ad affrontare. Per cecità potremmo intendere
tutte le situazioni in cui non vediamo chiaro, nelle quali è difficile capire
dove sta la verità, quale sia la strada da imboccare e quella da abbandonare,
quali desideri accogliere e quali lasciare andare per far spazio a una gioia
vera.
E il racconto del vangelo ci insegna che all’inizio di
questo cammino di discernimento, di svelamento, di portare alla luce, c’è
l’ascolto. Agli orecchi di Bartimeo, seduto ai margini di una strada affollata,
giunge la voce, probabilmente insieme a molte altre, che sta passando Gesù
Nazareno.
Le parole che scegliamo di ascoltare, di trattenere,
determinano il nostro modo di vedere la realtà. È uno dei primissimi
insegnamenti della Bibbia: il fatto che il primo uomo ha deciso di dar retta al
serpente, lo ha portato a guardare Dio come un antagonista, un rivale con cui
gareggiare per acquistare una pari dignità: “se mangerete di quel frutto
sarete come Dio”. Le parole a cui diamo credito cambiano il nostro modo di
vedere la realtà: se assumiamo solo parole che preannunciano pericoli, minacce,
catastrofi, vivremo nella paura, innalzando muri e rinchiudendoci dentro; se
diamo ascolto al tanto bene silenzioso che circola attorno a noi vivremo nella
fiducia e nel desiderio di immetterci in quella corrente di bene. Per questo
diventa così importante capire a quali parole dare ascolto e quali rifiutare,
perché determinano il nostro modo di approcciarci alla vita.
In effetti Bartimeo, oltre all’annuncio del passaggio di
Gesù e al suo conseguente grido per attirarne l’attenzione, è raggiunto anche
da altre voci: “Lo rimproveravano -lo minacciavano- perché tacesse”. Le
voci discordanti che ci raggiungono possono essere sia voci esterne -le
notizie, le opinioni, le interpretazioni possibili-, sia le voci interne che ci
abitano: tante volte siamo noi stessi ad ingannarci, a falsare la lettura della
realtà e a mettere ostacoli sul cammino da intraprendere.
Quanto poco sarebbe bastato a Bartimeo lasciarsi convincere
dell’inutilità e dell’inopportunità di voler incontrare il Signore, lui, un
mendicante ai margini della strada e della società, portatore di limiti e
infermità inguaribili, e in ogni caso indegno di considerazione: “Perché il
Signore dovrebbe prendersi cura proprio di me, non certo più meritevole di
tanti altri e anzi molto meno utile alla sua causa?”.
Ed è proprio di fronte a questo bivio, tra il dare ascolto
al desiderio, alla speranza che inaspettatamente è sorta nel cuore di
quest’uomo all’udire del passaggio di Gesù, o l’assecondare i sentimenti di
rassegnazione, di resa, che Bartimeo ci dà la lezione più importante: “Ma
egli gridava ancora più forte”. Il modo per non soccombere alla tentazione,
per non mollare di fronte alla corrente contraria, per non lasciarsi andare … è
di agire in maniera contraria. Di fronte alla paura osare ancora
un nuovo atto di coraggio; al sopraggiungere della sfiducia resistere, sperando
contro ogni speranza; d’innanzi al dilagare del male interromperne la catena
posando un gesto di bene.
Ma dove attingere una tale forza?
Il racconto di oggi sembra dare alcuni suggerimenti:
•
innanzitutto Bartimeo si rivolge al
Signore chiamandolo per nome, Gesù: manifesta il desiderio di una relazione
autentica, una relazione da persona a persona; una ricerca di Dio non
interessata, per i vantaggi che una tale frequentazione può procurare, ma la
scoperta di una reale amicizia possibile, come quella di Mosè, che parlava con
Dio “faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico (cfr Es
33,11)”.
•
in secondo luogo Bartimeo non si
nasconde, non finge, non vuole dare di sé un’immagine diversa da quello che è:
insieme al suo ardente desiderio, confessa pure la sua miseria, la sua povertà,
il suo limite: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. La
disponibilità a dire la verità di se stessi richiede la conoscenza e l’accettazione
di sé.
•
E infine Bartimeo accetta di fare la
propria parte: Gesù non va da lui, non lo compiange, ma lo fa chiamare.
Bartimeo si alza, getta via il suo mantello -ultima ma ingombrante sicurezza e
protezione che possiede- e compie il tratto di cammino che li separa. La
libertà, la dignità, le capacità che abbiamo ricevute ci affidano anche la
responsabilità di posare i passi che sono nelle nostre possibilità.
È
un cammino di fede molto concreto e molto umano quello che Bartimeo oggi ci
indica, fatto di ascolto, grida, ostinazione, slanci, passi, temerarietà: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. E il
Signore, dinnanzi a una tale fede, non si pone più come il maestro che insegna
e comanda, ma si lascia istruire, chiede cosa vuole che egli faccia per lui.
Accoglie il ribaltamento delle parti perché ormai c’è una convergenza delle
volontà, perché è diventato reciproco il desiderio di vedersi e parlarsi faccia
a faccia.
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