Omelia della domenica I Avvento (27/11/2022 -Anno A-)
Iniziamo oggi un nuovo anno liturgico, ed è
interessante osservare che questo inizio è caratterizzato dal tempo di Avvento,
il tempo che celebra il sopraggiungere, l’arrivo, la venuta di un evento, il
Natale del Signore, che segnerà tutto il seguito di quest’anno e dell’intera
nostra vita di credenti. E d’altra parte le letture di oggi ci presentano questa
venuta non tanto come un inizio ma piuttosto una fine: “alla fine dei
giorni”, dice il profeta Isaia, e anche le raccomandazioni di Gesù a
vegliare a causa dell’imprevedibilità della venuta del Figlio dell’uomo
sembrano indicare piuttosto la fine di un tempo e di una vita, con la relativa
resa dei conti.
Cosa potrebbe allora significare, alla luce
della Parola di Dio di oggi, che l’avvento, questo tempo di preparazione
all’incontro con il Signore, è allo stesso tempo un inizio e una fine?
Gesù si serve del racconto di Noè per
indicare il modo corretto per vivere ogni tempo, il tempo della nostra vita. “Mangiavano
e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito”: Gesù sembra dire che il
quotidiano vivere e il giudizio finale su quella vita non sono separati, ma
sono un tutt’uno: con quel mangiare e quel bere, con quel sposarsi e quel
lavorare, vale a dire con la vita nella sua ordinarietà si scrive il giudizio,
l’esito finale di quel cammino. La fine è semplicemente la raccolta di ciò che
ora si è seminato, è il risultato di ciò che adesso si opera. La vita e la
morte le si gioca nella quotidianità delle nostre azioni.
L’uomo preso dal campo, la donna presa
dalla mola sono coloro che vivendo nell’amore di Dio e del prossimo hanno messo
le basi per l’incontro con il Signore e si sono lasciati prendere per stare con
Lui; L’uomo e la donna lasciati sono invece quelli simili ai tempi del diluvio,
rimasti abbandonati al momento del passaggio del Signore perché, dice Gesù, “non
si sono accorti di nulla”: hanno mangiato senza accorgersi degli affamati,
hanno bevuto senza accorgersi degli assetati, si sono fatti le loro compagnie
senza accorgersi delle solitudini di tanti loro fratelli. Non si sono accorti
della venuta e della presenza del Signore nelle vesti del forestiero, del
malato e del carcerato.
Ecco allora l’importanza del vegliare, del
tenere gli occhi aperti per accorgersi della venuta del Signore. I discorsi
sulla fine del mondo ci servono per ricordarci che la nostra vita ha un
termine; termine che dipende da come e verso dove camminiamo oggi. Servono per
farci camminare verso il senso pieno della vita che è l’incontro qui e ora con
il Signore.
L’idea di movimento, di un camminare verso,
è comune a tutte le letture di oggi: la prima parla di un affluire di tutte le
genti sul monte del Signore, un camminare fiducioso alla scoperta della sua
Legge e delle sue vie. Potremmo pensare la nostra vita, nei suoi più semplici e
ordinari eventi della giornata, come una continua occasione di cogliere il
costante svelarsi di Dio nella storia, negli uomini, nella natura.
Anche il salmo parlava di una salita alla
casa del Signore per lodare il suo nome: anche la preghiera è un camminare
incontro, un avvicinarsi al Signore. Comunicare con qualcuno è sempre un
ridurre le distanze; coltivare una relazione è diventare prossimi, vicini: non
necessariamente tali da potersi ancora reciprocamente invitare a pranzo, ma già
sufficiente per non considerarsi più alieni, estranei. La preghiera, come ogni
altra relazione, in qualche modo rende presente l’altro a se stessi, non
consente più di ignorarlo o escluderlo.
Nella seconda lettura San Paolo dice che è
la salvezza ad essersi avvicinata ai credenti, e che è tempo di rivestirsi di
Gesù Cristo: è perché Dio ha voluto avvicinarsi a noi, che possiamo ora
desiderare di assumere quei tratti che lo caratterizzano e che caratterizzano
coloro che lo hanno saputo seguire radicalmente, i santi. “Abbiate in voi
gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”, scrive altrove san Paolo, osservando
quanto Lui si è avvicinato a noi.
E infine anche il vangelo parla della
venuta del Figlio dell’uomo, paragonata a quella di un ladro, la cui
imprevedibilità richiede una continua vigilanza: vigilanza a non farci padroni
della nostra vita, e di quella degli altri, perché questo porterà
inevitabilmente a perderla; siamo invece chiamati, come il Signore, a farci
servi, persone che considerano la vita un dono e di conseguenza la sanno
donare, sanno amare e servire la vita degli altri.
L’avvento ci invita a metterci in
movimento, perché quel che sarà l’incontro finale con Dio non sia altro che il
naturale compimento dei quotidiani incontri che possiamo fare di Lui negli
uomini e donne che ci sono messi accanto, nella preghiera, in una vita vissuta
assumendo i suoi sentimenti, in una vita donata per amore.
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