Omelia della domenica XXXI del T.O. (30/10/2022 -Anno C-)

 


Capita di  incontrare uomini e donne che non finiscono di stupire per la fiducia che mostrano nel credere che le cose e le persone possono sempre cambiare in meglio, che c’è ancora una possibilità di miglioramento, di crescita, una via d’uscita. Penso in particolare a dei pedagogisti, che nonostante gli anni e le sicure sconfitte sperimentate nell’ambito dell’educazione, di fronte all’ennesima sfida o problema vedono che una soluzione è ancora possibile, credono che una via di salvezza esista. Sembra siano animati da un vero atto di fede nella bontà di ogni uomo, e che riguadagnarlo alla sua essenza, dignità, ragionevolezza sia soprattutto questione di saper porsi innanzi nel modo giusto.

E allora eccoli assumere un atteggiamento non giudicante, rispettoso della libertà dell’altro; sforzarsi di capire cosa possa aver generato quella condotta; meno preoccupati di rimuovere immediatamente gli effetti e le conseguenze negative di quel comportamento ma piuttosto disposti in un atteggiamento di ascolto attento, per coglierne le cause. Il loro intento è semplicemente quello di ristabilire l’altro nel bene, fargli ritrovare la sua identità originaria, mostrandosi altrettanto disinteressati al prestigio personale o al guadagno sociale: quello che conta, e da cui tutto il resto deriva, è il bene della persona.

Molto probabilmente il buon esito dei loro interventi sta proprio in questo interessamento disinteressato, che la persona coglie e di cui rimane toccata, perché si accorge di essere raggiunta non perché costituisce un problema da eliminare, o un altro caso da analizzare o un nuovo adepto da incamerare, ma perché si sente considerata, amata, guardata nella sua potenzialità di bene.

È quello che accade oggi in questa via di Gerico, lungo la quale Gesù si accorge di un ometto arrampicato su di un albero per riuscire a vederlo mentre sta passando. Cosa Gesù sappia di quell’uomo non lo sappiamo, siamo noi a sapere che si tratta di un collaboratore degli occupanti e esattore delle tasse, che si è arricchito sulle spalle della sua gente. Quando fanno presente la cosa a Gesù, egli rivela lo sguardo benevolo con cui fin da subito ha guardato quell’uomo, osservando che “anch’egli è figlio di Abramo”, anch’egli merita quella considerazione e quella benevolenza che ogni uomo, in quanto tale, merita di avere. E quello sguardo ha già profondamente cambiato Zaccheo, che nel frattempo ha deciso di dimezzare le sue ricchezze e risarcire le sue vittime quattro volte tanto.

     Appare quindi evidente, in quest’opera di restituzione di un’umanità perduta, il ruolo e lo stile del maestro, di queste persone capaci di credere, contro ogni evidenza, nella bontà di fondo di ogni cuore umano, e capaci di far uscire il meglio dell’altro grazie al loro amore disinteressato.

Ma dobbiamo anche prendere atto che tali persone non ci spettano di diritto, non c’è nessuna istituzione, civile o religiosa che sia, che abbia il dovere e il potere di fornire alla nostra società uomini e donne, in numero sufficiente, dotate di questo sguardo che sa curare i tanti cuori malati del mondo. Sta piuttosto nel desiderio personale di ciascuno di noi, e nelle conseguenti scelte che facciamo, favorire e incentivare questo stile e questo genere di maestri, accettando il prezzo di un tale investimento, che non può produrre immediatamente i frutti sperati, perché non ha per fine primario l’eliminazione dei problemi, ma la restituzione della dignità delle persone. Senza d’altra parte negare che ci sono situazioni in cui la priorità diventa quella di eliminare al più presto il male, laddove è il gioco il bene di altre persone implicate.

L’altra condizione necessaria perché questa guarigione avvenga è il desiderio della persona malata di lasciarsi raggiungere: in fondo Gesù ha potuto posare il suo sguardo su Zaccheo soltanto perché Zaccheo si è messo in cerca di Gesù, salendo su quel sicomoro si è esposto alla sua vista e ha accettato di lasciarsi guardare e curare in profondità da Lui. Lo stesso sguardo non aveva provocato analoghi effetti sui nove lebbrosi di qualche domenica fa, guariti solo nel corpo ma non nell’anima, rimasta insensibile all’amore di Dio; così come non era riuscito a guarire il giovane ricco dalla sua tristezza e incapacità di fidarsi.

Può apparire scomoda e controproducente, eppure anch’essa rivelatrice della dignità che Dio ha voluto dare all’uomo, questa libertà che neppure il più grande maestro e pedagogo ha voluto sottrarre a quanti lo hanno incontrato.

E anche questo rivela qual è il vero volto di Dio, di cui la prima lettura traccia un bellissimo ritratto che vale la pena rileggere:

Signore ..., tu hai compassione di tutti, perché tutto puoi,

chiudi gli occhi sui peccati degli uomini

aspettando il loro pentimento.

Tu infatti ami tutte le cose che esistono

e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;

se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. ... 

Tu sei indulgente con tutte le cose,

perché sono tue, Signore, amante della vita.

Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.

Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano

e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,

perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.

Fr Amedeo

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