Omelia della domenica XVII del T.O. (27/07/2021 -Anno B-)


 

Iniziamo oggi l’ascolto del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, che ci accompagnerà nelle prossime domeniche. A differenza degli altri evangelisti, Giovanni ci trasmette l’insegnamento di Gesù sull’eucaristia non nel racconto dell’ultima cena ma nel miracolo, nel segno della moltiplicazione dei pani.

Nel passo che leggiamo oggi capiamo questo legame con l’eucaristia da alcune parole e gesti chiave che ci riportano immediatamente al sacramento dell’unione con Lui e tra di noi: “Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti”. Nel seguito del racconto Gesù spiegherà che il pane che lui darà non è un pane passeggero, che non dura, ma è cibo che rimane per la vita eterna, cibo che non ci si può procurare da sé ma che è dato dal Padre. Gesù stesso si identificherà con quel pane di vita, tanto da esserne la sua carne, il suo corpo, donato per la vita del mondo.

Ma oggi è interessante osservare come questo banchetto eucaristico prende forma, attraverso i vari protagonisti del racconto.

Innanzitutto Gesù: egli è cosciente che la gente lo sta seguendo a motivo dei segni di guarigione che compie. È cosciente che l’annuncio del Regno, l’annuncio della buona notizia dell’amore eterno di Dio per l’umanità e della sua universale volontà di salvezza, può essere facilmente frainteso e scambiato per un benessere, una guarigione individuale e transitoria; che la paura della fame, della sofferenza e della morte ci portano ad accontentarci, a ritenerci salvi non appena disponiamo di un rimedio personale per la malattia e un ragionevole accumulo di beni per il domani; riducendo la salvezza alla sopravvivenza, scambiando la benedizione con il benessere.

Eppure Gesù non si scandalizza di questo: pur invitando a spingere lo sguardo oltre, a guardare alla realtà più profonda delle cose, non distoglie lo sguardo dalla concretezza della vita: ora c’è una folla che lo segue in un luogo deserto, a cui bisogna provvedere e dare da mangiare. L’eucaristia nasce dalla necessità concreta dell’uomo di mangiare: ma questo bisogno, anziché ridurre l’uomo allo stato di schiavitù, di dipendenza dalle cose, e scatenare il conseguente desiderio di accaparrarsi, di possedere a scapito degli altri, questo bisogno può invece diventare rendimento di grazie, occasione di lode a Dio per la totalità della vita ricevuta, che non necessita solo di cibo ma anche di relazioni. Ecco perché l’eucaristia è un banchetto, un pasto condiviso con altri, con dei commensali che si finisce per riconoscere come fratelli. Ecco perché l’eucaristia deve essere un vaccino contro l’indifferenza alle sofferenze del prossimo, come già san Paolo esortava i cristiani di Corinto che si radunavano senza un reale spirito di condivisione.

Ma l’eucaristia ci insegna anche che la vita è qualcosa che sempre supera quanto possiamo darci e procurarci da noi stessi.

È quanto constata Filippo, provocato dalla richiesta di Gesù di provvedere al cibo per quella folla: “Non basterebbero duecento giornate di lavoro per dare almeno un pezzo di pane a ciascuno”. A Filippo oggi tocca la parte di chi guarda realisticamente alle proprie forze, e osserva l’impossibilità di risolvere la situazione: la costatazione che la vita, per quanto bisognosa di tutta la cura che possiamo dedicarle, ci è data grazie a un sovrappiù di cui non possiamo disporre, ma per cui possiamo ringraziare, chiedere e intercedere. È un cammino di umiltà quello che questa costatazione può aprire, o semplicemente un cammino di umanità, ritrovando un giusto e pacificato rapporto con la vita di cui capiamo di non esserne padroni ma beneficiari.

E poi c’è Andrea, fratello di Simon Pietro, e già questa precisazione del testo dice il suo ruolo secondario, la sua posizione marginale. E nonostante ciò, e pur senza essere interpellato, si intromette nel dialogo tra Gesù e Filippo facendo notare che ci sono i cinque pani e i due pesci di un ragazzo. Pur consapevole della quantità irrisoria rispetto al bisogno, Andrea si espone, si compromette. Non glielo aveva chiesto nessuno, non ha in tasca la risoluzione del problema, e tuttavia fa la sua parte, ci mette quel che può. La tentazione di fronte alla grandezza dei problemi e alla limitatezza delle nostre forze è quella di rinunciare fin dall’inizio, di neppure osare implicarsi, sporcarsi le mani. L’eucaristia invece, come la vita, perché possa accadere, ha bisogno di quel poco che possiamo metterci di nostro: nella processione delle offerte viene appunto simboleggiata la nostra parte, certo insufficiente, ma nello stesso tempo indispensabile, … il frutto del nostro lavoro.

Vivere nel riconoscimento e nel rendimento di grazie del dono della vita, non ci dispensa dal collaborare, dal partecipare alla sua realizzazione: è anche grazie a questo ragazzo previdente, che ha pensato a provvedere al suo sostentamento, che il miracolo può aver luogo.

La compassione di Gesù per la folla, la costatazione da parte di Filippo dell’insufficienza delle  forze umane, la disponibilità di Andrea comunque a mettersi in gioco, a compromettersi pur nella sua povertà, l’accortezza del ragazzo … sono le condizioni, le basi su cui potrà aver luogo il miracolo della moltiplicazione dei pani.

Un’ultima, ma fondamentale condizione per fare eucaristia, la cogliamo oggi nella sequenza dei gesti e delle parole di Gesù: “...prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede …”. C’è in questa sequenza un ribaltamento di quanto ci sembrerebbe logico dovesse accadere. Di fronte alla prova, al pericolo, alla sofferenza, il credente è portato a invocare aiuto, e solo una volta ottenuta la salvezza eventualmente ringrazia. Tutta la vita di Gesù è invece segnata da questa incondizionata attitudine di ringraziamento: lo vediamo ringraziare di fronte ai cinque pani, di fronte alla tomba di Lazzaro, di fronte all’imminente morte, durante l’ultima cena. Gesù ringrazia nel mezzo della prova: non ringrazia certo per la prova, ma ringrazia dell’amore originario di cui si sa amato dal Padre, e grazie al quale sa di poter affrontare e superare la prova, fosse anche quella finale della morte. Il suo ringraziamento nella prova è possibile grazie alla fiducia che ha posto in un Dio che ha benedetto il mondo fin dalla sua creazione e continua a benedirlo, un Dio amante della vita (cfr Sap 11,26). E allo stesso tempo la sua attitudine di ringraziamento apre la strada perché la benedizione di Dio possa ancora e di nuovo entrare nel mondo.

Beati coloro che sanno ringraziare, sembra oggi dirci il Signore, beati coloro che sanno fare eucaristia della vita, riconoscendo e aprendo così la strada alla benedizione di Dio.

Fr Amedeo

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