Omelia della domenica VI di Pasqua (09/05/2021 –Anno B -)
Eccoci nuovamente questa domenica
a nutrirci della Parola, una parola che in queste ultime domeniche ci invita ad
un rimanere… rimanere nel suo Amore. Domenica scorsa questa dimensione del
rimanere era descritta con l’immagine dell’unione del tralcio alla vite, come
per ricordarci che solo rimanendo “aggrappati” a Lui, come i tralci alla vite.
Così anche questa domenica sembra
che la Parola voglia continuare a sottolineare la fecondità di questa unione ma
lo fa con una sottolineatura che spiega e completa il discorso che Gesù aveva
cominciato a fare e che avevamo ascoltato domenica scorsa.
E mi sembra di poter ritenere due aspetti.
Il primo aspetto è che, sebbene
l’invito a rimanere uniti sia rivolto ai discepoli, questo rimanere non è un
comandamento che ricatta: come se dicesse “Guai
a voi se non rimanete uniti a me …”.
Il rimanere è piuttosto una
conseguenza del movimento di Dio: Dio ama gli uomini ed è alla ricerca della
sua creatura. E continua insistentemente a dirlo. È Lui che si avvicina alla
nostra umanità, indipendentemente dai meriti o dagli sforzi. È questo il
movimento primario… Dio esce da se, per comunicarsi totalmente a chi è altro da
Lui.
IAbbiamo infatti ascoltato nella
prima lettura come lo Spirito Santo si comunica a tutti ed è accolto a chi è
desideroso e si sente bisognoso di
essere raggiunto da una vita che sa non appartenergli.
Anche nella seconda lettura
abbiamo ascoltato che l’origine di questa vita, che in fondo si chiama amore, è
“da Dio”, ci dice Giovanni, e che Dio ha mandato nel mondo, in mezzo a noi, il
Suo Figlio, perché noi avessimo la vita. Lo ha mandato nella storia, duemila anni fa,
ma direbbero i nostri padri cistercensi, lo manda ancora oggi, nel nostro
presente, nella nostra vita in tanti modi, attraverso tante mediazioni. Il Suo
amore, la Sua vita ci raggiunge oggi ed è per tutti. Dio non fa preferenza di
persone e quell’amore che tiene in vita il mondo è per tutti, è perché tutti
siano rigenerati. Come il Padre ha amato
me anche io ho amato voi.
Allora rimanere nel Suo amore, allora, è la conseguente esigenza che nasce dall’esperienza di una pienezza di vita che abbiamo gustato… Dobbiamo allora chiedere al Signore che ci dia occhi capaci di cogliere questo movimento nel nostro presente, questo Suo correrci incontro come il padre della parabola del figlio prodigo, di un amore che ci viene incontro anche attraverso delle mediazioni: un incontro con qualcuno che ci ha mostrato l’amore di Dio Padre, una situazione che ci ha rimesso in moto.
Ma come possiamo rendercene conto
di aver fatto esperienza di Dio?
La parola di Dio di oggi ci da delle categorie per capirlo: il frutto di questa unione con Dio è l’amore che possiamo darci gli uni gli altri, secondo il “come” di Dio. È interessante la sottolineatura che da Giovanni nella sua lettera: chi non ama non ha “conosciuto Dio”, ossia chi non ha fatto esperienza di Dio, della sua vicinanza che dona vita. Amare come Gesù ci ha amati, senza distinzione di persone, senza trattenere nulla per se, amando senza distinguere coloro che possiamo amare da coloro da cui dobbiamo difenderci… perché l’amore e la vita che diamo è l’amore e la vita che riceviamo in abbondanza da Dio, e che nessuno e nulla può privarci.
Amarci gli uni gli altri, non è allora un dovere morale, ma semplicemente condivisione di quella vita con quello stile che impariamo da Dio. Nel tralcio, che è unito alla vite, il frutto nasce spontaneo e se non è raccolto e donato, appassisce e inacidisce…
Un secondo aspetto sul quale il vangelo di oggi ci provoca è quello della missione che Gesù ci affida: io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portate frutto e il vostro frutto rimanga.
Il tralcio, unito alla vite, è destinato a portare il frutto della Vita divina, che trova la sua manifestazione piena nell’amore. L’invito ad amarsi gli uni gli altri, a diventare Suoi amici, è semplicemente l’invito ad essere fecondi nel portare frutto, di poter condividere quella vita divina di cui ciascuno di noi vive.
Ma è interessante! La metafora
che Gesù aveva utilizzato del tralcio e della vite ci dice qualcosa di grande…
Identificandoci con i tralci è
chiaro che per portare frutto il tralcio necessariamente deve essere legato
alla vite. Ma al tempo stesso sembra che Gesù voglia quasi affermare che, se da una parte è necessario che il tralcio sia
unito alla vite per portare frutto, al tempo stesso la Vite stessa che è Gesù,
ha bisogno di noi, Suoi tralci, perché il frutto della Vita divina sia fruibile
a tanti altri nostri fratelli.
In fin dei conti è come se Gesù mettesse in luce il nostro bisogno di rimanere uniti a Lui, ma al tempo stesso anche il Suo bisogno di noi, ossia che noi siamo portatori del frutto della Vita Divina che Lui vuole donare agli uomini. Perché l’umanità possa godere del frutto della Vita divina, Dio ha bisogno di discepoli che siano uniti al Cristo, che ascoltino la Sua Parola, che benedicano Dio in ogni situazione, che vivano come Cristo ha vissuto, che amino come Lui ha amato, che preghino e intercedano per i fratelli e le necessità del mondo, che si facciano poveri mendicanti di Grazia per il mondo presso il Padre che Gesù ci ha fatto conoscere.
Facciamo nostro allora l’invito a
rimanere uniti al Cristo, per portare il
frutto benedetto da Dio desiderato e da sempre pensato, frutto che maturerà
nelle nostre vite sia per la nostra
salvezza che per quella del mondo. E per tutti i nostri fratelli
che ancora non hanno mai gustato dell’inebriante e delizioso frutto della Vita
divina, possa la nostra vita - con i suoi frutti - stimolare in loro il desiderio di innestarsi
alla vera Vite, il Cristo!
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