L'omelia della domenica XXXIII (22/11/2020 Anno A)
Cristo Re
dell’universo – Anno A -
Il brano dell’ultimo vangelo dell’anno liturgico richiama la nostra attenzione sul rapporto tra la fine dei tempi e la nostra vita, sul nostro atteggiamento nei confronti del prossimo, in base al quale saremo giudicati, sul Cristo re che presiederà il giudizio. Quando noi pensiamo ai re di questa terra ci viene in mente subito lo sfarzo delle incoronazioni e tutto l’apparato che il cerimoniale umano riserva per le persone “molto speciali”… ma la regalità di Cristo non ha niente a che fare con tutto ciò. La teologia della regalità di Cristo è ben espressa nella Passione secondo Giovanni e il suo motto è: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine” oppure: “quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”.
In tutto il suo percorso verso l’offerta suprema di se stesso più volte Gesù viene proclamato Re, soprattutto nel colloquio con Pilato. E Giovanni pone questo titolo sopra le Croce in ebraico, greco e latino: le lingue del mondo di allora, per dirci che Gesù è veramente re soprattutto in quel momento: la Croce è il suo trono, oltre che essere altare del suo sacrificio e talamo della sua unione con la Chiesa. I suoi ornamenti sono le sue piaghe, indossa una corona di spine, è nudo e non rivestito di stoffe preziose, i suoi abiti sono stati divisi e tirati a sorte, il suo potere è un amore che porta la sua kenosi fino all’estremo: quello di amare fino alla fine, senza risparmio, è vittima dopo essere diventato nostro fratello, nostro servo, e anche nostro cibo.
E tutto questo è il cammino verso la sua incoronazione di re dell’universo, come Luca ci dice nel brano dei discepoli di Emmaus “Stolti e tardi di cuore nel credere all’insegnamento della Scritture! Non bisognava che il Cristo soffrisse tutto questo per entrare nella sua gloria?” E’ questo tipo di regalità del Messia sofferente che ispira anche i criteri del giudizio finale del brano del vangelo secondo Matteo che abbiamo appena ascoltato. Criteri totalmente opposti a quelli umani. In genere i re si “distinguono” dai sudditi, invece Cristo Re “si identifica” con ciascuno dei suoi sudditi, con la preferenza verso i più poveri e infelici, e si immedesima con loro al punto da “non essere riconosciuto” né dai buoni né dai malvagi: i primi non hanno fatto distinzioni tra lui e gli sventurati che hanno beneficato, i secondi non lo hanno scorto nel volto di coloro che hanno rifiutato, ma Lui era presente in tutti, nella folla immensa di “quei milioni di Cristi dagli occhi cupi e dolci”, come dice François Mauriac.
Ecco perché il criterio del giudizio finale sarà per i buoni:
“ In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” ribadito fortemente anche
in forma negativa nella condanna dei malvagi posti alla sua sinistra.
Forse è questa la teologia sottostante alla
celebre frase di S. Bernardo: “Si vergogni chi ostenta lusso, eleganza e
mollezza sotto un Capo coronato di spine!”. Non è una semplice polemica contro
lo sfarzo liturgico di Cluny, e nemmeno verso il potere e il prestigio che
godevano i cluniacensi al suo tempo. Anche i “poveri di Cristo” dei monasteri
cistercensi potevano cadere nella stesso inganno se il loro cuore non si fosse
mantenuto spoglio e disadorno come i loro edifici per poter essere aperto
totalmente alle “Visite del Verbo”. E’ un richiamo forte anche per noi oggi,
soprattutto nella situazione che tutti stiamo dolorosamente vivendo e che ci ha
provvidenzialmente messo sotto gli occhi la nostra fragilità e ha fatto piazza
pulita del delirio di onnipotenza dell’uomo contemporaneo, basato più sulla
ricchezza, sul prestigio e sul potere che sulla fratellanza e la
condivisione; sull’apparire più che
sull’essere, sul dominare e sfruttare
più che sul servire e sul donarsi amando “fino alla fine” come Cristo nostro re
per il bene di tutti.
E’ anche quanto ci ricorda il Papa
nell’Enciclica “Fratelli Tutti”, e che S. Giovanni della Croce ribadisce nel
suo celebre detto: “alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”; il
giudizio non si baserà altro che sulle opere di misericordia, sulla carità che
non verrà mai meno. Bisogna dunque amare sino alla fine Dio e gli uomini: Mai
Dio senza l’uomo, mai l’uomo senza Dio, perché il Cristo re, nostro modello è
il Dio fatto uomo, colui che per primo ha fatto lo stesso, per cui a pieno
diritto poteva darci il suo comandamento nuovo: Amatevi come io vi ho amato!”
Questa identificazione tra Cristo e i
fratelli poveri e bisognosi è anche ben espressa da S. Giovanni Crisostomo
in questa citazione tratta dal suo
commento al vangelo di Matteo che mi piace mettere come riflessione conclusiva:
“Vuoi
onorare il corpo del Cristo? Non disprezzarlo quando lo vedi coperto di
stracci. Dopo averlo onorato in chiesa con stoffe di seta, non lasciare che
fuori egli soffra per la miseria e per il freddo. Colui che ha detto: Questo è
il mio corpo, ha detto anche: Mi avete visto patire la fame. ...Che cosa
importa che la mensa del Signore scintilli di calici d’oro, mentre lui muore di
fame? Andate incontro prima di tutto ai suoi bisogni … che senso ha offrirgli
un calice d’oro e nello stesso tempo rifiutargli un bicchiere d’acqua?
Adornando la casa del Signore, non disprezzate il fratello che si trova in
miseria. Perché il tempio di questo fratello è più prezioso del tempio di Dio.”
(S.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 50, 2-4)
Fr Gabriele
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