Ritiro con Cesare Falletti Il significato profondo della Solennità di Cristo Re dell-Universo

 

La Signoria di Dio

La festa di oggi ci mette di fronte a un linguaggio che può imbarazzarci, perché non è veramente più dei nostri tempi, o almeno per la nostra cultura. Anche se politicamente ci sono ancora dei Re e delle Regine, che portano con responsabilità il loro compito, non credo che chiamare Gesù nostro Re possa avere la stessa accezione e che possiamo trasportare il modello del potere politico, economico o sociale, per comprendere quello di Cristo. 

E’, infatti, una regalità ben differente, più assoluta, più potente, ma meno visibile e molto più discreta e “liberale”. Risorto, Gesù non ha perduto le sue caratteristiche, non è diverso da colui che stato sulla terra, perché è venuto a mostrarci il volto del Dio immutabile, che non è diverso in cielo o sulla terra. Dunque, Cristo Re dell’Universo è lo stesso del Cristo che traversava la terra d’Israele duemila anni fa; era povero ed umile, misericordioso, ma con una forte e vera autorità. 

Oggi, se non porta la fatica dell’essere umano e della contraddizione, porta in modo identico la capacità di misericordia, di compassione, di commozione, di guarigione, d’amicizia, di benevolenza e di paterno e materno affetto, e, in modo misterioso per noi, la stessa vulnerabilità. La gloria non l’ha certo reso indifferente. Il Vangelo ci dice che il Verbo si è fatto carne per svelare il volto di Dio sconosciuto, a cui la fragilità dell’uomo ha dato tante sfumature, spesso cadendo nell’idolatria, che lo facevano somigliare più all’uomo peccatore, che a Colui che è e che ci chiama ad essere come lui. E per questo è morto sulla croce. Basti pensare al tema del “siate come me, come io sono come il Padre”. 

Questo genere di frasi, così fortemente presenti in San Giovanni, ma più larvatamente anche negli altri scritti del Nuovo Testamento, ci fa capire che il Nazareno, che ha traversato la Terra di Israele “facendo del bene”, era lo stesso della seconda persona della Trinità e che il suo abbassamento era una testimonianza del Dio eterno, e non un solo “mascherarsi” per poterci parlare ed in seguito ritrovare un volto “regale” come lo penseremmo noi. Per parlare della Signoria di Dio voglio, dunque, tener ben presenti queste cose. Non possiamo nemmeno dimenticare che se è Re, non perde assolutamente la volontà di vivere con noi, come uno di noi: io sono con voi ogni giorno, sono le parole che chiudono il Vangelo di Matteo. Potrei riassumere questo tema dicendo, come Gesù stesso ha detto, che la sua regalità, la sua Signoria, e dunque la salvezza che porta, parte dal basso e dall’abbassamento, e che innalzandosi nella sua Risurrezione ha portato tutta l’umanità ad elevarsi con lui, rimanendo, sempre Lui stesso sotto tutti, ai piedi di tutti, portandoci sulle sue spalle, quindi restando più basso di noi, come il buon pastore alla ricerca della pecorella smarrita. San Paolo, nella 1 Corinzi 2,8, contemplando la Signoria di Cristo, ci dice : “Nessuno dei dominatori di questo mondo l'ha conosciuta; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria”. Il Signore della Gloria era sulla Croce come alla destra del Padre nella Santissima Trinità, e nella Gloria della Risurrezione è come sulla Croce e ne porta i segni: “Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io”. La sua regalità è indissociabile dalle sue piaghe. Se ripercorriamo la Vita di Gesù, leggendo il Vangelo, possiamo cogliere molti aspetti della sua regalità e trarne grandi ragioni di speranza in qualunque tempo viviamo e traversando tempi difficili come in questi tempi con la pandemia. E’ venuto a noi per riaccendere la speranza degli uomini, come quella dei discepoli di Emmaus, che camminavano delusi perché speravano e non sperano più, ma speravano in ciò che Dio non dà e non comprendevano il cammino di Dio, che era accanto a loro nella polvere della strada. La sua Risurrezione non l’ha staccato da noi, ma ci ha portato ad essere cittadini del suo Regno, facendoci passare per la morte di tutte le nostre false illusioni e attese errate, nel suo Regno di Pace e di Amore, dove scopriremo il vero Bene, quello che avremo cercato tutta la vita inciampando in ostacoli che crediamo montagne d’oro, che potrebbero risolvere tutte le nostre difficoltà. 

Il vero Regno non è di questo mondo: questo non vuol dire che non possiamo trovarlo nella nostra vita sulla terra, ma che non lo si trova seguendo le luci e le direttive del mondo e dell’istinto ferito dal peccato. Da quando Adamo ha steso la mano per ricevere il frutto dalla mano di Eva, creando una complicità del possesso e della rapina, dimenticando che la loro vita dipendeva unicamente e fin dal principio dalla bontà totalmente gratuita di Dio, gli uomini e le donne tendono a costruirsi dei regni a loro uso e consumo, realizzano delle prigioni invece che dei Paradisi. 

I castelli del Medioevo, con le loro torri e muraglie, nonostante la loro bellezza, ne sono un simbolo parlante. Il Paradiso, il Regno di Cristo, è un territorio senza barriere, senza ostacoli e senza violenza, perché tutto dipende dalla mano generosa e provvedente di Dio. La manna del deserto ne rimane un simbolo e l’Eucaristia ce la fa gustare nella pienezza di ciò che essa significava: Dio provvede al suo popolo non solo dando cose esterne a se stesso, ma dando se stesso con fedeltà quotidiana e nella più totale gratuità. E San Paolo ci ricorda: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date: è la misura che dev’essere usata nel Regno di Dio. In questo Regno della gratuità noi troviamo la risposta alle sofferenze della terra: non toglie nessuna delle fatiche della terra, è vero, ma ne toglie l’amarezza. 

I regni che ci costruiamo sono nostri e vi poniamo il nostro nome, anche se sono grandi come un fazzoletto; con ironia il salmo 48 dice: “Il sepolcro sarà loro casa per sempre, loro dimora per tutte le generazioni, eppure hanno dato il loro nome alla terra.” Il Regno del Signore Gesù è ricevere e non prendere, dare non rifiutare, aprire e non barricarsi: essere ammessi alla presenza del Re, come dice il Vangelo di oggi, è essere riconosciuti come coloro che hanno vissuto nella gratuità e non nell’interesse, nel fare il bene e non nel costruirsi torri simili a quella di Babele, di cui i costruttori dicevano: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma non è il nostro nome che conta e che abbiamo “farci”. Nel “Padre nostro” diciamo: “Sia santificato il tuo Nome, venga il tuo Regno”: è la liberazione da ogni nostro istinto cattivo, ripiegato su se stesso, che è come il libro dato a Giovanni nell’Apocalisse; di esso è detto “Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in boccati sarà dolce come il miele ” (10,9), così l’esagerata attenzione a se stessi sembra deliziarci, ma lascia un gusto di mortale amarezza. 

Confrontati con la povertà della natura umana e con i nostri limiti, come lo siamo oggi, in cui non sappiamo come staremo stasera, l’invocare il Regno di Dio, guardare il Signore Gesù reggere le sorti del mondo e affidargli la nostra via, è una sorgente di incrollabile speranza. Eppure non possiamo rinunciare al nostro Regno se non ci è garantito qualcosa di più grande, che porti la nostra umanità, preziosa anche agli occhi di Dio, a una realizzazione più splendente della già bella natura umana. Ma questa garanzia la troviamo nello sconvolgente racconto della crocefissione di Gesù in mezzo ai due ladroni. 

Possiamo immaginare la scena così ben descritta dall’Evangelista Luca. Gesù innalzato da terra, presentando all’universo tutti i segni della sua terribile umiliante Passione, ha come scorta, quasi guardie del corpo, due malfattori che condividono la stessa pena. Con uno condivide la desolazione del corpo massacrato e dell’anima umiliata, senza condividerne la rivolta e l’odio che ne scaturisce; con l’altro condividiamo la speranza nella vita e in un’aurora che cancella la notte di una vita sbagliata. Ed è proprio questo secondo malfattore che parla di regno: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. Chi ha parlato di Regno? Forse i capi del popolo? No, l’ultimo degli ultimi. Così è glorificato Cristo Re dell’universo! Gesù Cristo Re dell’universo: è forse un altra regalità da questa? La parola cambia contenuto? Ho già detto che no, e dobbiamo ben renderci conto che Gesù, pur avendo parlato molto del Regno dei cieli, non ha parlato della propria regalità altro che nel contesto della Passione e quindi dell’estrema umiliazione, quando tutte le illusioni e le ambiguità del linguaggio non potevano più deviare lo sguardo e la comprensione della gente. Tempo prima, dopo la moltiplicazione dei pani, volevano farlo re, ma lui si è nascosto: non era quella la sua regalità. 

Col Buon Ladrone mostra che la sua regalità è salvatrice e che lo si può invocare come Re solamente con un grido di speranza e mai col timore di un giudice castigatore o ancor meno temendo la condanna. Davanti al peccato Gesù è Salvatore, una luce di speranza e di redenzione, un’apertura alla vita, nonostante la gravità del peccato: pensiamo all’adultera, alla peccatrice, a Zaccheo e a Matteo, allo stesso Pietro. In Gesù non c’era il ragionamento sulla misericordia che può aprire a un lassismo, perché lui è carità e la carità genera solo del bene. La condanna non viene dal Re, ma da chi rifiuta di lasciarsi salvare o di salvare gli altri: c’è come una barriera che impedisce alla Grazia di operare, ma è messa dall’uomo, non da Dio. Anche la condanna del servo che non ha fatto fruttare il talento ricevuto viene dal sospetto sul padrone, non da un senso di giustizia; anzi il servo non ha fatto giuridicamente nulla di male, ma non si è lasciato coinvolgere dal clima del Regno, in cui si è cittadini solo se si è aperti allo sguardo di Gesù e alla fiducia nel correre dei rischi a seguirlo. 

Questo è molto evidente nella parabola del giudizio finale: il Re non tiene conto se gli eletti l’abbiano onorato o no durante la loro vita. Nessun narcisismo in Gesù! La salvezza viene gratuitamente, a sorpresa: quando ti abbiamo servito? Il Re è attento a ogni più piccolo movimento del nostro cuore e vuole dare se stesso come ricompensa. Solo coloro che sono impermeabili all’amore, anche se forse molto devoti, rimangono impermeabili anche alla salvezza e alla condivisione del Regno. Perché il Regno promesso è il Re stesso. Il Cristo Re è il Regno che dona: non sono cose, il Regno non è un accumulo di ricchezze o di poteri, ma è l’Amore stesso che si dà, per questo non ha limiti, né bisogno di difesa. Gesù è Re sulla Croce: quando ha apparentemente perso tutto, ha preso possesso del suo Regno. Nell’Apocalisse i giusti e gli angeli non cessano di cantarlo. Anche per questo, la festa odierna che probabilmente è stata istituita al seguito della persecuzione messicana e alla nascita delle dittature fasciste e comuniste, contesta il diritto dei poteri politici sulle persone, che sono intangibilmente libere, perché la loro sola appartenenza è al loro Creatore e Salvatore, il vero Re.

Qui sta l’importanza di questa festa: l’autorità del Signore su ogni sua creatura, diventa la nostra grande dignità. Nessuno può toglierci la nostra libertà perché siamo di Cristo: la creazione già ci mette nelle sue mani, e viviamo unicamente perché lui ci crea in ogni istante della nostra vita. Ma anche la Redenzione ci rende suoi, perché col suo Sangue ci ha ottenuto la vita beata che non ha fine. La nostra lotta per la libertà è una lotta per affermare che solo Dio può essere considerato sopra di noi e avendo vera autorità su di noi. E questa è la nostra dignità e dobbiamo esserne gelosi, di una sana e buona gelosia che non toglie nulla agli altri, anzi condivide ciò che ha ricevuto. 

La storia della Chiesa, nella sua parte sana, dai martiri dell’impero romano agli attuali, dai santi “sociali” alla Giovanni Bosco ai giovani che non hanno voluto conformarsi all’andazzo dei loro coetanei, è sempre stata una rivendicazione di questa regalità, unica e incondivisibile del Cristo Re. La Chiesa infatti vive seguendolo con fedeltà, e anche nella lotta contro le potenze avverse, continuando la battaglia di Gesù Cristo col Tentatore nel deserto. Questi vorrebbe strappare il potere a colui che è il nostro vero Bene, per allettarci con miraggi di false felicità, ma il Signore è responsabile del suo gregge e lotta per non farselo strappare. Non possiamo mai dimenticare che il vero ed unico Re ha dato la sua vita per il suo popolo e l’ha salvato per poterlo introdurre nel vero ed unico Regno. 

Non dobbiamo desiderare o rivendicare null’altro e la lotta per far continuamente ritornare la Chiesa all’umiltà del suo Maestro e Signore è la vera fedeltà al Regno e al Re.

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