Omelia per la festa della Santa Famiglia - Domenica 28 dicembre 2025
Abbiamo celebrato solo qualche giorno fa la nascita di Gesù
Cristo, in un clima di gioia e di pace, seppur in un’umile grotta, in cui Maria
e Giuseppe osservavano stupiti l’inattesa adorazione dei pastori …
Oggi invece il vangelo si apre con dei cupi presagi di
Giuseppe che deve fuggire in Egitto con la sua famiglia per mettere in salvo
Gesù, che Erode vuole uccidere, temendolo come
contendente del suo regno.
Questi due episodi dell’infanzia di Gesù, apparentemente
tanto diversi e distanti, in realtà svelano due aspetti della vita ugualmente
essenziali.
Nell’antico Testamento si trovano due passi in cui sono
elencati i dieci comandamenti: il primo è al capitolo 20 del libro dell’Esodo,
mentre il secondo è al capitolo 5 del libro del Deuteronomio. Non ci sono
grosse differenze tra i due scritti, ma colpisce la diversa motivazione che i
due codici danno per spiegare il comando di santificare il giorno del riposo e
della festa.
“Ricòrdati
del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo
lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non
farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la
tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te” (Es 20,8-10).
Fino a qui, grossomodo, i due
testi coincidono; ma mentre nel libro dell’Esodo si dice che la ragione di
questo riposo viene dal fatto che in sei giorni il Signore “ha fatto il cielo e la
terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno”, nel libro del Deuteronomio la ragione è
tutt'altra: “Ricòrdati
che sei stato schiavo nella terra d'Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha
fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio,
ti ordina di osservare il giorno del sabato” (Dt 5,15).
Emergono quindi due tratti, due
caratteristiche essenziali di Dio: Egli è il creatore, Colui che dà la vita,
che genera, che mette al mondo, che dà a ciascuno l’esistenza; ma Egli è anche
Colui che libera, che riscatta, che solleva le sue creature dalle schiavitù in
cui sono cadute e le riporta alla vita, alla libertà, le rimette sulla strada
che conduce alla terra promessa. Dio si rivela in questa duplice veste di
creatore e salvatore.
È un po’ sorprendente osservare
che Gesù, il Figlio unigenito, “il generato, non creato, della stessa sostanza
del Padre” diremo tra poco nel Credo, divenendo uomo, compie lo stesso
percorso, si sottomette alle stesse dinamiche: viene al mondo e ripercorre il
cammino di liberazione dalla schiavitù che avevano compiuto gli israeliti, il
suo popolo, il cammino dell’Esodo: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”.
Gesù si fa solidale in tutto ad
ogni uomo e ad ogni creatura, innanzitutto nel ricevere la vita e poi nel
bisogno di protezione, custodia, accompagnamento. E a pensarci bene questo
duplice aspetto di generazione e di protezione tocca ogni nostra relazione: che
si tratti di amicizia, di famiglia, di comunità o di società: affinché esse sussistano,
continuino, crescano, non è sufficiente che abbiano un inizio, una nascita; ma
c’è bisogno di una continua azione di cura, di attenzione, di liberazione, di
salvezza. E Dio, proprio nel “comandare” di santificare il tempo, vale a dire l’esistenza,
la vita, le relazioni, si dichiara artefice della loro origine e garante del
loro riscatto, …, creatore e salvatore. Possiamo allora credere che in ogni
nostra energia spesa nel far nascere e nel preservare, o riscattare, o ridonare
vigore ad ogni opera di bene nel mondo, siamo collaboratori del “Signore amante
della vita”. Si legge nel libro della Sapienza: “Tu ami tutte
le cose che esistono … Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l'avessi
voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all'esistenza?
Questa
impercettibile ma continua azione creatrice e salvifica di Dio nel mondo la potremmo vedere anche nella vita che Gesù ha
poi trascorso a Nazaret. Più che un quadretto intimistico della santa famiglia,
vi potremmo leggere l’ordinarietà, la quotidianità, il nascondimento e quasi
l’insignificanza di un’esistenza personale e familiare trascorsa in un paesino
ai margini della vita stessa di Israele.
“Sarà
chiamato Nazareno” in realtà non corrisponde a nessuna profezia,
nessun profeta aveva ancora colto che il messia avrebbe trascorso la maggior
parte della sua vita in questo sperduto villaggio della Palestina. Ma è bello
osservare che l’evangelista Matteo avrebbe potuto individuare la parola
nazareno da qualche profezia che usa un termine con la stessa radice ebraica,
la parola germoglio. Potrebbe essere stata la profezia di Isaia che parla di un
germoglio che spunta dal tronco di Iesse (Is 11,1), ma anche le parole del
profeta Zaccaria che ci venivano riferite la notte di Natale: “Ecco un uomo il
cui nome è Germoglio” (Zc 6,12). “Sarà chiamato Nazareno”, sembra
fargli eco l’evangelista Matteo, cogliendo l’assonanza tra i due termini in
ebraico.
La storia della salvezza continua a germogliare nel nostro
quotidiano, nella normalità delle nostre famiglie e delle nostre comunità; in
tutte quelle azioni che generano e riscattano il bene, in ogni umile vita che
collabora con l’azione creatrice e redentrice di Dio.



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