Omelia per la VI domenica del Tempo Ordinario (16 febbraio 2025 - Anno C)
Dopo aver ascoltato queste letture lasciamoci interrogare sulla nostra speranza: ognuna di esse ci sfida a chiederci di quale speranza viviamo. Il mondo di oggi fa fatica a trovare un motivo per sperare. Nella storia dell’umanità le epoche si susseguono con alti e bassi quanto alla speranza collettiva. Ma qual’è la nostra vera àncora della speranza, su cosa si appoggia e cosa speriamo? Ogni tanto fa bene fermarsi a interrogarsi su questo. “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno”, ci ha detto il profeta Geremia. Non vuole insultare, ma metterci in guardia. Siamo condotti dai nostri desideri e, se questi sono indirizzati in modo non giusto, ci conducono alla rovina, noi e gli altri. Da dove nascono la guerra, il femminicidio, la violenza, l’abuso, il sopruso che viene dall’avidità e provoca l’uso malvagio della ricchezza, e con tutto questo, che già basterebbe e sarebbe di troppo, tutte le altre piaghe che strozzano e insanguinano la società, sfigurano l’uomo fin dall’infanzia e stendono un velo nero fra il nostro sguardo e il volto luminoso di Dio? Tutte queste cose ci tentano di perdita di speranza. Eppure il Signore non cessa di chiamarci, istruirci, indicarci la via della salvezza: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia”, ha detto lo stesso Geremia. Basterebbero queste due parole per cambiare il volto del mondo, non solo le testate dei giornali, ma il cuore dell’uomo. La speranza vive nel cuore e lo modella, ma troppo spesso nessuno fa attenzione alla sua voce. Bisogna saper discernere fra speranza o desiderio e brama, che è una avidità vorace. Nelle Beatitudini che troviamo nel Vangelo di Luca, rischiamo di trovarci spiazzati: abituati a quelle riportate dal Vangelo di Matteo con tono molto più mite e gioioso, quelle che abbiamo appena ascoltato ci scuotono, ci sembrano troppo severe. Gesù non minaccia mai, ma ci fa vedere la verità. L’umile e colui che soffre sono coloro che non possono o non vogliono basarsi sulle loro proprie forze e vogliono contare sulla paternità di Dio. La beatitudine infatti non viene dal fatto che i beati vogliono soffrire, essere perseguitati o cercano le disgrazie per poter piangere, ma è per coloro che subiscono e portano nella loro carne la fragilità e il male del mondo. Con questo vengono a somigliare al Verbo che si è fatto carne per prendere su di sé i nostri mali, aiutarci a portarli e dare loro un senso. Ha trasformato il Male in combustibile d’amore. Forse è una cosa difficile da capire, eppure è presente in tutto il Vangelo e se fossimo capaci di capirlo saremmo di più nella speranza guardando questo povero mondo e daremmo al cuore dei nostri fratelli un po’ di luce. Gesù dice “Beati voi, poveri” guardando delle persone reali: parla a gente che lo capisce perché ha l’esperienza della povertà, della fame, delle lacrime e anche della persecuzione o per lo meno di essere maltrattata e odiata. Questa esperienza la faranno anche dopo la morte di Gesù, quando partiranno ad annunciare il mistero dell’Amore infinito al mondo intero. La facciamo ancora oggi e possiamo interrogarci: con che cuore viviamo quelle situazioni di cui parla Gesù? La lettera ai Corinzi ci ha parlato della Risurrezione; la annunciamo e siamo mandati al mondo per far conoscere questa Buona Novella: ma se no ci crediamo, se l’annunciamo quasi per mestiere senza essere completamente infuocati da essa, allora Paolo ci dice che: “vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini”, ma non perché perseguitati, ma perché non accogliamo la parola della Speranza, l’annuncio della salvezza, la garanzia della pienezza della gioia. Cristo è Risorto: ormai la Speranza ha preso la solidità della verità e non è più aleatoria. Questa Buona Novella permea tutto il vivere, l’agire, il credere e lo sperare del fedele, chiamato e mandato ad esserne testimone. Possiamo chiederci: allora perché tante lamentele, volti tristi, parole che vagano nel buio. Se i giornali dopo ogni notizia scrivessero in grassetto: Ma Cristo è Risorto!, le cose andrebbero meglio e la qualità della vita ne risentirebbe un beneficio. La Parola del Signore, Cristo stesso, vuole vivere in noi e renderci sua stabile dimora: quale proposta di amore più grande potremmo ricevere? Se il Risorto abita in noi tutta la nostra vita diventa luce gioiosa, trasparenza della beatitudine che ci attende, e intorno a noi si costruirebbe un mondo di pace. Cominciamo col ringraziare il Signore Buono e amico degli uomini per ciò che ci offre e poi Lui stesso ci aiuterà a diventare secondo la nostra speranza.
P. Cesare
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