Omelia per la XXXI domenica del Tempo ordinario (3 novembre 2024 - Anno B)

 



Nell’articolata complessità dei precetti che il pio israelita era tenuto ad osservare (esistevano 613 precetti), si capisce la legittimità della domanda che uno scriba rivolge a Gesù: Quale è il primo di tutti i comandamenti?

Ma differentemente da tanti altri momenti nei quali gli interlocutori di Gesù intervengono con la finalità di metterlo alla prova, di tendergli un laccio per poterlo condannare, quest’uomo si avvicina con un desiderio puro. Aveva ascoltato Gesù argomentare con i suoi interlocutori ed aveva potuto assaporare la sapienza di questo maestro. E come tutti coloro che non si accontentano di quel poco che sanno, ma che desiderano progredire per cercare una pienezza, animati dal desiderio di un compimento per la propria vita nella relazione con Dio, questo scriba si fa cercatore, mostrandosi mendicante di una risposta: quale è il primo dei comandamenti?

Potremmo dire: Quale è, tra le tante indicazioni, quella più essenziale che racchiude in sé tutta la sapienza di una vita? quale è il centro, quale la via, quale l’elemento che permette di avere accesso al cuore di Dio e che permette di fare unità in tutto ciò che facciamo?

Se siamo onesti con noi stessi, spesso ci scopriamo anche noi confrontati a questa domanda, quando siamo chiamati ad operare delle scelte che ci si presentano nella nostra vita. Quale scelte ci aiutano ad unirci sempre più al Signore? Quale è l’orientamento che dà unità a quello che facciamo? Quali sono i criteri che orientano le nostre scelte?  E non è sempre così facile ed evidente perché noi uomini, soggetti a debolezza, come ci ricorda la lettera agli ebrei, siamo spesso incostanti, fragili ed infedeli, attirati da molteplici interessi che non sempre ci portano verso una stessa direzione.

 

La nostra preoccupazione rischia anche di essere orientata verso un fare, come se per una vita piena fosse sufficiente adempiere tutta una serie di “condizioni” in una logica di causa-effetto (faccio tale cosa e come conseguenza avrò una vita piena) oppure collezionando “opere” per guadagnare dei crediti ed essere in pace con la coscienza: “ho fatto quello che c’era da fare”. È la preoccupazione di tanti come fu la preoccupazione del dottore della legge al quale Gesù risponde con il racconto della parabola del buon samaritano. Questo dottore interrogò Gesù chiedendogli: Cosa devo FARE per ereditare la vita eterna?

 C’è un adempimento di precetti che sicuramente sono indicazioni per una vita sana, ma non sono questi che “salvano”, che realizzano l’esistenza di una persona.

Qui come nel discorso con il dottore della legge della parabola del buon samaritano, Gesù accompagna i suoi interlocutori, e con loro anche noi, a comprendere che la prima preoccupazione e occupazione dell’uomo non deve essere quella di “fare”, di “compiere” qualcosa, ma di essere in relazione: amare Dio e amare il prossimo! Entrare in una relazione con Dio e con gli altri che implica tutta la persona: anima, mente, forze.

C’è qui qualcosa di veramente vitale, di cui non possiamo fare a meno!

Amare è la vera via di unificazione del cuore dell’uomo, amare è la sola via che ci salva perché ci educa a fare i passi necessari per uscire da noi stessi e creare una comunione con Dio, la fonte della vita vera.

Il riflesso immediato dopo l’ascolto del Vangelo potrebbe essere quello di chiederci: siamo capaci veramente di amare? Cosa significa amare Dio e il prossimo? È in fondo questa la domanda che ci provoca più seriamente? Possiamo veramente dire di amare Dio con tutta la mente, forze, anima? Possiamo affermare di essere capaci di amare il prossimo?  Certo amiamo Dio e gli altri come siamo capaci, secondo la comprensione dell’amore che abbiamo. Ma cosa significa amare?

Ma c’è un aspetto che la Parola di Dio di oggi ci ricorda e che rischiamo di sorvolare troppo rapidamente andando a riflettere subito su cosa significhi amare Dio e amare il prossimo. Un aspetto che credo sia preliminare per poter amare veramente e in autenticità.

Ancor prima del comandamento dell’amore la Scrittura ci ricorda un’altra cosa che bisogna compiere per entrare in un cammino che ci conduce alla felicità piena. E questa è riassunta nel verbo “Ascoltare”.

Gesù, consegnandoci il grande comandamento cita Deuteronomio che comincia così: Ascolta Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore! Ancor prima di amare, è necessario ascoltare!

Ma cosa significa ascoltare? ascoltare cosa?

Ascoltare è prima di tutto fare spazio, fare vuoto in sé stessi perché possa rendermi conto della presenza di Dio nella mia vita. Perché l’altro possa esistere nel mio orizzonte, possa esistere nella diversità di quello che è e non una semplice mia proiezione.

Ascoltare è cercare di comprendere cosa Dio vuole comunicarmi attraverso la Sua Parola. Ascoltare è rendersi conto delle necessità reali del prossimo.

Ma penso che ciò su cui la Parola vuole provocarci sia anche che ascoltare significhi cercare di ascoltare la vita facendo memoria grata. Ascoltare la vita per intravvedere con quale amore e delicatezza il Signore mi ha accompagnato, custodito, protetto, amato. Ascoltare come Dio è il nostro Dio, l’unico Signore, Colui che mi salva! Ascoltare è mettersi alla scuola di Colui che ama, per imparare a fare lo stesso, per imparare dal Maestro cosa significhi amare, cosa significhi dare la propria vita per i fratelli, per le sorelle!

Se non c’è questo passaggio preliminare, il nostro amore sarà sempre un amore limitato, povero perché pretende di trovare in sé il suo fondamento.

Chiediamo al Signore di avere occhi capaci di vedere, orecchie capaci di ascoltare con quale Amore Egli ci ha amati per poter amare anche noi come Lui.  

fr. Emanuele 

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