Omelia della domenica di Pentecoste (28/05/2023 -Anno A-)

 


Pace a voi!

È il saluto che Gesù rivolge ai suoi discepoli nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato in questo giorno di Pentecoste. E questo saluto, Gesù lo ripete due volte.

Sembra proprio che il Signore voglia veramente rassicurarci: per noi, suoi discepoli, è riservato il dono della pace, che viene dal suo Spirito!

Anche noi però possiamo ritrovarci a sperimentare quella paura che bloccò i primi discepoli nel cenacolo, in quella stanza dalle porte ben chiuse. Ma da dove aveva origine la paura di questi primi discepoli?

Nel giorno di Pasqua avevamo visto la tristezza delle donne e dei discepoli trasformarsi in una gioia mista a paura perché il sepolcro vuoto li spiazza: si trovano di fronte a qualcosa di inaspettato, che sfuggiva dal loro controllo e dalla loro comprensione. E quanto era avvenuto non lo capiscono: cosa significa che il Signore è risorto, cosa significa che la morte è vinta e che la tomba è vuota? Quali sono anche le conseguenze di questa notizia per la loro vita? in fondo vivevano qualcosa che non era alla loro portata e non era da loro gestito e tutto questo metteva loro paura, ansia, sebbene tutto quello che stava succedendo fosse gravido di Vita.

E ora, in questo giorno di Pentecoste, il Signore viene a dirci che quella Vita bussa anche oggi alla nostra porta. È strano, ma dobbiamo riconoscere che anche noi, quando una nuova Vita si annuncia, possiamo scoprirci ad avere un po'; paura: forse perché questa nuova vita ci scomoda o ci spiazza!

È forse paura di non sapere cosa sta avvenendo, paura di non riuscire a controllare un qualcosa che non dipende da noi, oppure paura di sprecare una occasione preziosa, paura di non essere all’altezza del dono ricevuto, paura di lasciare gli equilibri rassicuranti nei quali ci si era istallati e nei quali non si stava poi così scomodi.

E forse non riusciamo a fare altrimenti. Dobbiamo accettare che la paura sia il sentimento che a volte precede una vita nuova preparata per noi, e che è più grande di noi. Ma dobbiamo fare attenzione a non farci bloccare dal sentimento che istintivamente può nascere in noi e che si presenta come qualcosa che sembra minacciare la nostra tranquillità.

Il Risorto desidera rassicurarci, nell’invitarci a dimorare nella pace. Una pace che non è assenza di turbamento, ma abbandono confidente nelle mani del Padre, apertura accogliente allo Spirito che ci è stato donato, Spirito che continua a condurre i nostri passi verso una vita piena.

Ma come accogliere questa Vita nuova che lo Spirito suscita nella nostra vita? quale è il segno e al tempo stesso la via perché le nostre vite siano abitate dallo Spirito e si possano riconoscere tali? Gesù ce lo mostra indicandoci un “come”… Consegnando lo Spirito, Gesù invia i suoi discepoli e si pone come pietra di paragone: come il Padre ha mandato me, così io mando voi…

C’è un invito a prendere il largo, ma lasciare il porto solo spiegando le vele al Soffio dello Spirito, e solo con lo sguardo rivolto a Gesù. È con questo sguardo orientato che le nostre vite possono sprizzare gioia, come il Vangelo ci ricorda: i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Ma l’evangelista Giovanni ci riporta un dettaglio che per noi credo possa essere importante…

Tra le due ripetizioni dell’augurio della pace di Gesù ci viene detto che il Risorto mostra ai discepoli i segni della sua passione e questo gesto è la fonte della gioia degli apostoli. Certamente Egli compie quel gesto volendo rassicurare i discepoli che Colui che loro vedono è quel Maestro e Signore che hanno seguito per tre anni. Ma mi piace vedere in questo gesto anche un invito a considerare altri due aspetti.

Il primo aspetto è che nel mostrare i segni della sua Passione, e nell’insistere prima e dopo sull’augurio della pace, Gesù voglia come invitarci a vedere le vicende della vita non come un ostacolo alla Vita e alla Pace: la nostra pace è dimorare in Dio, qualsiasi cosa accada… come Gesù ha custodito il suo cuore nel cuore del Padre e non si è lasciato turbare. Anzi ha fatto di quanto gli è accaduto via per salvare, via per amare… potremmo dire, ne ha fatto una opportunità… consapevole che la vita di ogni credente è una vita condotta dallo Spirito creatore, che sa trarre pure da un male, un bene.

Un secondo aspetto risiede in ciò che quei segni nelle mani e sul costato rappresentano. Essi infatti non sono il segno di una sofferenza subita, ma piuttosto testimonianza di una vita donata, di una volontà di amare, del desiderio di essere “per”, di andare incontro, una volontà di salvare, costi quel che costi. E sebbene gli esiti di questo dono sembrano giustificare l’idea del fallimento, in realtà vuole mostrarci che non c’è diminuzione di vita là dove si dona la vita totalmente.

E questo Gesù lo ripete in tanti modi attraverso le sue parole e i suoi gesti… come quando afferma che chi perde la sua vita la troverà e chi la desidera salvare la perderà.

La Parola di Dio che oggi ci è consegnata ci ricorda l’orizzonte di una vita che non deve temere di essere donata, perché è una vita che si pensa “una” insieme ad un Corpo nel quale si riconosce. Un corpo con diverse membra animate tutte dallo stesso Spirito. Quello Spirito che mi vivifica è lo Spirito che vivifica il corpo in tutte le sue membra. E riconoscere in me il dono dello Spirito, è riconoscere che ciò che mi è stato affidato non è per me, ma per il bene comune, per l’edificazione di quel corpo… ed inevitabilmente il mettermi a servizio dei fratelli è segno del dono dello Spirito.

Chiediamo allora oggi al Signore, gli uni per gli altri, l’effusione del Suo Spirito, perché condotti dallo Spirito, la nostra vita donata sia ad edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa, perché si compia ciò che nella preghiera Gesù ha chiesto al Padre: tutti siano uno!

P. Emanuele

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