Omelia della domenica XIII del T.O. ( 26/06/2022 - Anno C-)

 


L’espressione “incamminarsi”, nel vangelo di oggi, o i suoi equivalenti, ricorre 4 volte in 6 versetti, è una concentrazione voluta, più di un terzo del Vangelo di Luca è teso in questo cammino. Già questo ci pone di fronte a noi stessi: quando siamo giovani è evidente il processo di evoluzione e anche il desiderio di avanzare, di crescere, di realizzare qualcosa, ma poi ci lasciamo travolgere dalla routine quotidiana e il nostro cammino perde di mordente, di entusiasmo e di energia. Come mi sollecita questo invito? Gerusalemme è la meta dove Gesù sarà elevato in alto, la testimonianza suprema della misericordia di Dio, il culmine della sua donazione per la salvezza degli uomini e della creazione, e il suo sacrificio sarà premiato dal Padre. Anche noi facciamo passi di figliolanza per donare noi stessi al Padre e ai fratelli, non sappiamo cosa ne sarà, ma siamo certi che dovremo rendere la nostra vita al Padre, come Gesù, nella fede e nell’amore: la meta rende unitario il nostro cammino e da significato a tutti i nostri passi: essi devono tutti, singolarmente, puntare verso Gerusalemme, e anche quelli “mancati” ci sono restituiti dalla misericordia di Dio come parte del cammino, e questo è vero per tutti gli amici di Dio: i passi stonati o deviati sono parte di questo cammino, perché ogni singolo momento prende senso dall’andare in quella direzione.

    “...prese la ferma decisione”: letteralmente: indurì il suo volto. L’espressione “volto” o i suoi equivalenti torna tre volte: “indurì il suo volto di prendere il cammino”, “mandò messaggeri di fronte al suo volto”, “non vollero riceverlo perché il suo volto era verso Gerusalemme”. Luca vuole attirare la nostra attenzione su questa espressione fisica: siamo chiamati a contemplare il volto di Gesù che va verso Gerusalemme per manifestare il volto misericordioso del Padre, il fatto che Gesù mandi messaggeri davanti al suo volto ci mostra chiaramente che anche noi siamo coinvolti in questa missione. Non si tratta di dover dire o fare o organizzare: essere messaggeri di un volto è indefinito, ma anche molto evocativo: vuol dire tendere con tutte le nostre forze verso Gerusalemme: condividere la vita e il destino di Gesù.

    Un villaggio di samaritani lo rifiuta. Al cap. 4 Luca racconta il ritorno di Gesù a Nazareth e il suo discorso nella sinagoga nel quale attribuisce a se stesso la profezia di Isaia: “lo Spirito del Signore è su di me: mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri”; i suoi compaesani, dopo un’iniziale apertura, lo rifiutano e tentano di gettarlo dal precipizio. Ma egli “passa in mezzo a loro e si rimette in cammino”. Anche qui c’è una non-accoglienza e poi un mettersi di nuovo in cammino: la nostra non-accoglienza non lo ferma.

    Giacomo e Giovanni, ispirandosi a Elia, che uccide gli inviati di Acazia con un fuoco dal cielo, vogliono “punire” quel villaggio, ricordando anche l’episodio di Sodoma, che aveva disprezzato la sacra ospitalità. Ma Gesù li rimprovera: Luca vuol mettere in evidenza l’atteggiamento di Gesù che tende verso il perdono dei suoi uccisori, che porta sulle sue spalle il peso di questo rifiuto e ripaga col bene il male che riceve, e questo i suoi discepoli non l’hanno ancora capito. Gesù non è mai duro nei confronti degli altri ma porta il peso del rifiuto che anche noi, come loro, produciamo.

    E si misero in cammino verso un altro villaggio: è quello in cui sarà accolto da Marta e Maria: Luca evita fino a questo punto la parola “villaggio”, e. mentre in Giovanni,questo villaggio si chiama Betania ed è vicino a Gerusalemme, qui rimane volutamente indefinito. E’ un dittico: due villaggi, uno lo rifiuta, l’altro lo accoglie, però il suo amore rimane costante e determinato per entrambi ed ha il potere di mutare il nostro rifiuto in accoglienza.

    Mentre camminavano verso Gerusalemme: - questo è il contesto - la tensione verso la donazione suprema di Gesù, che testimonia il Volto del Padre misericordioso e che ci chiede di conformarci a questo suo atteggiamento, Luca ci presenta le condizioni della sequela attraverso tre piccoli dialoghi.

 

   1 - “Ti seguirò ovunque tu vada”: l’uomo in questione è estremamente disponibile e prende l’iniziativa di mettersi al seguito di Gesù. Gesù gli risponde: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»; non si sofferma sulla disponibilità di quest’uomo, ma sul fatto che Lui “non ha dove posare il capo”. Gesù tende con urgenza verso la croce, solo lì egli poserà il capo dopo aver compiuto la volontà del Padre ed essersi totalmente immolato per la nostra salvezza: Gv 19, 30 “Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.” Sembra che Gesù non abbia la possibilità di una pausa finché tutto non sia compiuto. L’aspirante discepolo viene messo di fronte a questa prospettiva.

 

   2 – Nel secondo caso è Gesù che prende l’iniziativa: “Seguimi!” e lo dice a un uomo cui da poco è morto il padre; contro il suo solito sembra che qui Gesù non  abbia nessuna sensibilità, ne prima né poi: la replica suona quasi scandalosa, eppure Luca è l’evangelista più attento alla misericordia di Gesù. Seguirlo e annunciare il Regno è più urgente che seppellire il padre, perché la signoria di Dio viene a vincere la morte, è da questo che scaturisce il primato su tutto.

 

   3 - “Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Mentre Elia aveva permesso questo ad Eliseo prima che lo seguisse, qui Gesù manifesta una radicalità assoluta. Seguirlo è come preparare un campo, arandolo e lavorandolo perché riceva il seme e diventi fecondo, guardare avanti è preparare il campo alla signoria di un Dio che perde se stesso per salvare i suoi figli chiusi in se stessi. Bisogna arare per cogliere questa signoria paradossale di un Dio che dona tutto. Congedarsi dai cari è cosa buona, ma per Gesù è un volgersi indietro di fronte a una cosa che Dio sta realizzando e che ha la priorità.

      Cosa chiede a noi Gesù in questo brano di vangelo? Ci siamo messi in cammino con lui, ma non abbiamo la stessa urgenza, ci attardiamo, ci lasciamo distogliere da tante cose.

 

1) Quali sono le mie “tane” o i miei “nidi”? Dove mi rifugio quando non seguo pienamente Gesù?

    Quali sono le comodità cui non voglio rinunciare? Egli riposa il capo solo quando ha dato tutto,  

    e  io?

2) Quali sono le cose che chiedo a Gesù di fare prima di obbedire alla sua parola?

3) Cosa mi distoglie dall’aratura del campo e mi fa voltare indietro?

                                                                                                               Fr Gabriele


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