Omelia III Domenica di Quaresima (20/03/2022 -Anno C-)
La prima parte del vangelo di oggi, a una
lettura superficiale, ci lascia molto sconcertati. Gesù si rifà a due fatti di
cronaca del suo tempo: alcuni galilei giunti a Gerusalemme per offrire sacrifici,
fatti uccidere da Erode e le diciotto vittime rimaste sotto le macerie per il
crollo della torre di Siloe. Noi potremmo prendere come esempio abbastanza
recenti il crollo del ponte Morandi a Genova o le attuali uccisioni i Ucraina
... Quello che ci sconcerta è la frase: “Se non vi convertirete, perirete tutti
allo stesso modo”, quasi che tutti i peccatori fossero destinati a una morte
violenta. Tutto ciò a prima vista evoca l’immagine distorta di un Dio giudice
spietato che aspetta di cogliere l’uomo in fallo per infliggergli
inesorabilmente la punizione ... però contrasta fortemente con l’immagine di
Dio, padre misericordioso, che non vuole la morte del peccatore ma che si
converta e viva, con la quale Gesù ci
presenta sempre il Padre e che si riflette anche in lui, Verbo Incarnato, nel
grande grande amore verso poveri e i
peccatori.
Anche la parabola che viene narrata subito
dopo è più in linea con la misericordia di Dio che con la sua giustizia
“punitiva”. Allora la frase di Gesù va sicuramente interpretata in un altro
modo. “Se non vi convertirete perirete tutti alla stesso modo, “non assassinati
o schiacciati dalle macerie ...ma semplicemente impreparati ad affrontare quel
momento che è tanto sicuro quanto imprevedibile.” come l’esperienza della
pandemia ci ha dimostrato. Quindi “se
non vi convertirete, la morte, in qualsiasi modo arrivi, vi troverà
impreparati”. Tutto questo si accorda con quanto S. Paolo ci dice nella seconda
lettura: i mormoratori nel deserto perirono perché di essi Dio non si
compiacque. Essi desideravano cose sbagliate, e tutto ciò avvenne a loro ed è
stato scritto a nostro ammonimento, di noi, per i quali è arrivata la fine dei
tempi. Quindi chi crede di stare in piedi guardi di non cadere”. L’attenzione
non è quindi posta sul modo della morte, ma sulla necessità della vigilanza da
usare nel tempo che ci è concesso e sulle scelte di vita che facciamo giorno
per giorno.
Tutto questo ci apre a una riflessione sul
tempo che ci è concesso dalla misericordia di Dio perché ci convertiamo a lui
con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. E’ un programma di
vita ottimo per la quaresima che stiamo vivendo. Noi siamo padroni solo del
nostro presente: per tutti “il tempo si è fatto breve”! E’ nel nostro presente
concreto che possiamo convertirci a Dio in una vigilanza amorosa che non ci
lascia tregua, come non lascia tregua un amore veramente forte e autentico, che
spinge anche a grandi sacrifici per piacere alla persona amata. La Misericordia
di Dio, se accolta e sperimentata fino in fondo, ha un’urgenza che ci spinge a
ricambiarlo con una vita a lui gradita, che non teme, anzi, desidera,
l’incontro definitivo con Lui, e, nel frattempo, lavora alacremente per
migliorare se stessa e le condizioni del suo ambiente e dei fratelli che
incontra ogni giorno. L’amore, se vero e profondo, non da tregua. Implora
misericordia per sé e per gli altri: possiamo tutti vederci proiettati nella
figura del vignaiolo, che si impegna a implorare la pazienza del padrone e si
da da fare perché il fico sterile porti i suoi frutti, zappando e mettendo il
concime … in queste due azioni è velata tutta la testimonianza cristiana, che
prepara la via al Verbo nelle anime e compenetra di carità tutti i rapporti con
le persone. Mettendole al centro della propria azione e delle proprie
preoccupazioni. E questo si esercita nel tempo che ci è dato. Il mistero della
nostra nascita e della nostra morte è nelle mani di Dio, nessuno di noi può
sceglierle: nelle nostre mani c’è solo questo
presente di oggi, questo “attimo fuggente” che dobbiamo vivere
intensamente sempre pronti all’incontro con Dio e operosi e vigilanti
nell’attesa. E’ la concezione che anche S. Benedetto ha del tempo nella sua
Regola. Nel prologo dice chiaramente che Dio aspetta pazientemente la nostra
conversione dandoci il tempo perché la possiamo attuare, e invita i monaci a
“correre” verso la vita eterna nell’osservanza dei comandamenti, spinti forse
inizialmente dal timore dell’inferno, ma poi solo dall’amore di Dio che scaccia
ogni timore, e non perde occasione per trascinare tutti in questa corsa e per
operare mettendo al primo posto il bene comune mortificando la “volontà
propria”. E’ un modo di dire che la nostra salvezza personale è una conseguenza
del nostro impegno perché tutti si salvino e perché la Chiesa diventi sempre
più la sposa casta e immacolata del Signore.
Il pensiero della nostra precarietà è dunque
fecondo, e ci invita a far tesoro del tempo che ci è concesso per aprirci
all’amore e per aiutare anche il nostro prossimo a fare lo stesso. Anche di
fronte a persone che apparentemente sono come questo fico sterile. Zappare con
amore alle radici della loro vita, rendere l’ambiente propizio all’accoglienza
della parola e della persona di Cristo, come buoni aratori che preparano i
solchi al seme della parola. Concimare con la testimonianza di una vita donata
e operosa, orientata a procurare il vero nutrimento che porta molto frutto:
Gesù Parola e pane di vita, che converte, salva e trasfigura l’uomo e tutti i
suoi rapporti.
Forse con un po’ di fantasia “forzata”
possiamo vedere in questo fico un po troppo pigro anche la Chiesa del nostro
tempo, in Europa, un po’ vecchia e stanca, sconcertata di fronte al
“cambiamento epocale” che sta avvenendo. Oggi infatti c’è più che mai bisogno
di cristiani impegnati che zappino alle radici di questo fico e lo concimino
con la loro testimonianza e il loro impegno ad assumere lo “stile”di Cristo
nella gioia della tensione verso la santità, pregando che non gli succeda
quanto è avvenuto a un altro fico sterile, maledetto da Gesù perché vi trovò
solo le foglie di un culto esteriore, che non coinvolgeva il cuore delle
persone, fatto di sacrifici e di offerte, ma lontano dalla misericordia e
dall’amore del Padre: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è
lontano da me”, e che si seccò subito dopo la purificazione del tempio, quando
Gesù scacciò tutti i mercanti, che pur servivano al culto, ricordando che sta
scritto “la mia casa sarà una casa di preghiera” e rifiutando recisamente che
la si fosse trasformata in una spelonca di ladri.
Oggi il Signore ci invita a fare bene la
nostra parte, nel tempo che ci è dato, a zappare e concimare il nostro ambiente
di vita perché tutta la Chiesa possa ancora portare ancora molti frutti di
conversione, di santificazione, di speranza e di pace per una vita dignitosa e
veramente “umana” per tutti gli uomini
che vivono e soffrono nel nostro tempo.
Fr
Gabriele
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