Omelia della Domenica (09/12/2018 II Avvento Anno C)
Tutta la serie di nomi con i quale inizia il
vangelo di oggi rivela la preoccupazione di S. Luca di inquadrare i fatti che
narra in un contesto storico, geografico e religioso ben preciso.
Si comincia
dall’Impero Romano, e si restringe man mano l’obiettivo in terra di Israele,
nominando il governatore Ponzio Pilato, i tetrarchi e poi si entra in campo
religioso: i sommi sacerdoti Anna e Caifa: gli stessi che processeranno e
condanneranno Gesù. E’ proprio in questo tempo preciso che la Parola di Dio
“viene” su Giovanni il Battista. L’espressione da l’idea di un forza superiore,
o di una Persona (il Verbo) che prende possesso del precursore e lo spinge, come
un fuoco, alla sua missione di invito alla penitenza per preparare la via al
Signore. E questo avviene “nel deserto”, come per l’antico Israele durante
l’Esodo. Il deserto è il luogo ideale per l’ascolto: non ci sono distrazioni,
solo sabbia, pietre, cielo e silenzio profondo: nessun punto di riferimento se
non Dio che parla e guida il cammino.
E’ luogo di purificazione, dove tutto è
necessariamente ridotto all’essenziale. E per questo è il luogo propizio per la
conversione, come ben sapevano i nostri padri, i primi monaci, che prendono
proprio Giovanni Battista, il figlio di Zaccaria, come uno dei modelli
privilegiati da imitare per il loro cammino spirituale. E anche Gesù, il Verbo
fatto carne, la Parola per eccellenza,
prima di iniziare la sua vita pubblica, si immergerà nel silenzio e nella
solitudine del deserto.
Giovanni è “la voce che grida nel deserto”,
per tutti noi, ci invita a “Spianare” la via regale al Signore, come si faceva
per i re di quel tempo. Spostando i due punti la frase assume un altra
sfumatura che ci coinvolge tutti: “Io sono la voce che grida: nel deserto
preparate la via al Signore”. E’ un invito a fare silenzio e a imitare il
precursore nella sua vita sobria ed essenziale, nel suo amore per la verità e
per la Parola di Dio, nel suo aprire tutti i cuori perché incontrino Gesù: il
Verbo fatto carne. Come non ricordare la stupenda riflessione di S. Agostino su
Giovanni Battista, definito “la voce” che prepara noi tutti ad accogliere il
Verbo: Lui deve crescere, io diminuire. È il suo motto: quando ha aperto i
cuori a Cristo lui scompare: la voce tace perché è giunto il Verbo.
E’ un invito a noi tutti a fare deserto nei
nostri cuori, sbarazzandoci per qualche tratto prolungato di tempo di tutto il
chiasso e delle cose superflue che lo ingombrano. E’ un invito a guardare solo
le realtà vitali ed essenziali, a cambiare in meglio, a diventare semplici,
limpidi, puri, silenziosi, pieni di di un amore che ascolta e incarna la
Parola, come ci insegna bene la Vergine Maria: l’altro modello di “Attesa” che
la liturgia di questo tempo di Avvento pone davanti ai nostri occhi e al nostro
cuore. Il grandi padri cistercensi delle origini in questo tempo invitano la
Chiesa tutta (che è sempre la loro comunità monastica concreta) e le singole
anime dei monaci a diventare “un nuovo grembo della Vergine Maria”, aperto alle
“visite del Verbo”, un grembo che recepisce, accoglie e incarna la Parola, e la
genera nel proprio tempo e nel proprio ambiente. Nell’Apocalisse il Signore da
di se stesso questa definizione: Io sono Colui che è, che era e che “Viene”…
non “che verrà”! Viene oggi, sì, proprio in questo “attimo fuggente” e pervade
la nostra persona e il nostro tempo, e se lo sappiamo accogliere e incarnare
costruisce in questo attimo che passa la nostra eternità.
Ogni attimo è quindi
Kairòs: tempo opportuno per incontrarlo e cambiare vita. Ed ecco che i monti si
spianano, i burroni si colmano, le vie tortuose diventano diritte e i luoghi
impervi spianati. S. Bernardo parla di “homo incurvatus” l’uomo peccatore è
completamente ripiegato e chiuso in se stesso, ma se si apre a Cristo ridiventa
“diritto” “nuovo” un nuovo Adamo formato sull’immagine di Cristo, che diffonde
intorno a sé il suo “dolce profumo”: il suo “stile”. L’aggettivo “tortuose”, o
anche “contorte” riferito alle vie da raddrizzare mi riporta alla memoria un
particolare della letteratura inglese. Nelle opere teatrali di Shakespeare i
personaggi nobili o corrotti, i “cattivi” hanno tutti un linguaggio tortuoso e
contorto, pieno di termini derivati dal latino e dall’antico francese, e le
loro frasi sono ambigue, piene di doppi sensi … mentre i poveri parlano un
linguaggio semplicissimo ed essenziale, comprensibilissimo, fatto di
monosillabi tratti dall’antico tedesco e, ciò che conta di più: sono gli unici
personaggi capaci di pregare.
Citando il profeta Isaia, il Battista ci
invita tutti a questa essenzialità e spogliazione, esteriore ed interiore, ad
abbattere gli ostacoli che ci sono fra noi e Dio, e fra noi e i fratelli. Ci
invita all’ascolto profondo della Parola di Dio e alla preghiera, ad amare il
silenzio e la solitudine pieni solo di Dio e dell’amore per i nostri fratelli.
E’ un bel programma di vita per prepararci al Natale: alla grotta di Betlemme
arrivano solo le persone povere e semplici, i pastori: solo loro sono pervasi
dalla gioia: i potenti, i “tortuosi”: Erode, e i farisei, provano solo
turbamento alla notizia della nascita del Messia, e cercano, o cercheranno, di
toglierlo di mezzo: Erode con un linguaggio contorto e mentitore vorrà farsi
indicare dai magi il Messia per ucciderlo, e non per adorarlo: nessuna
meraviglia, aveva fatto uccidere anche i suoi figli per paura che gli
usurpassero il trono, non poteva aver pietà ne del Bambino Gesù né dei bambini
di Betlemme. Solo i Magi, re d’oriente, che accettano di mettersi in viaggio in
un cammino di spogliazione e di conversione, attenti ai segni dei tempi, e
pronti a donare le loro ricchezze e il loro potere, quindi a farsi poveri e
pellegrini, riescono a incontrare il Messia, mescolati ai pastori. E’ un invito
pressante, è un cammino non certo facile, ma ci porta a una gioia sicura e
all’incontro con una Persona che può pervadere tutta la nostra vita, darle un
senso, cambiarla dall’interno e risanare tutti i mali, dentro e fuori di noi.
“Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”:
quanto l’italiano traduce “uomo” in greco è σάρξ: carne, cioè l’uomo nella sua
debolezza e fragilità. E anche questo è molto suggestivo: la salvezza di Dio
sarà vista e sperimentata solo se si accoglie e accetta come dono la propria
fragilità e il limite che ci deriva dalla consapevolezza di essere di povere
creature, ma proprio per questo tanto amate da Dio!
Questo
ci fa cercare appassionatamente il Medico celeste che ci colma, ci abbassa, ci
raddrizza e ci spiana, perché ognuno di noi sia salvato e felice.
“Non sono i sani che hanno bisogno del
medico, ma i malati. Io - dice Gesù – non sono venuto a chiamare i giusti, ma i
peccatori perché si convertano!”. Questo ci deve riempire di speranza, di
gratitudine e di consolazione, nel nostro cammino verso l’incontro beatificante
con il Verbo fatto carne nella mangiatoia di Betlemme.
Fr Gabriele
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