Omelia per la XXVI domenica del Tempo Ordinario (29 settembre 2024 - Anno B)

 






Nella vita abbiamo bisogno che le cose siano sempre ben chiare e definite, perché forse non siamo in grado di sostenere e di avanzare nel cammino senza che tutto sia al suo “giusto posto”. Ma la Parola che abbiamo ascoltato sembra volerci provocare ad uscire da rigidi schemi e sembra voler abbattere delle barriere, dei confini che, ancor prima che fisici, sono mentali!

La prima lettura e il vangelo concordano nella descrizione della reazione di due discepoli: Giosué, discepolo di Mosè, e Giovanni, discepolo di Gesù. In entrambe le situazioni descritte dalla Parola di Dio, la Vita sembra trovare dimora al di fuori dei confini immaginati: non è nella tenda del convegno, dove il Signore parlava al suo popolo, ma è nell’accampamento che Eldad e Medad riferiscono quanto lo Spirito rivela loro. Non nella cerchia dei discepoli che seguivano Gesù avvengono le guarigioni dai demoni, ma attraverso l’intercessione di un perfetto sconosciuto!

E Giosuè e Giovanni, fedeli e devoti ai loro maestri e zelanti nel servizio di Dio reagiscono: Non è come dovrebbe essere!

 i profeti sono nell’accampamento … oppure… il guaritore non ci seguiva, non è dei nostri!

 C’è un contesto ben delimitato dove ci si aspetta che Dio agisca, c’è una appartenenza che viene percepita come unica garanzia dove possa trovare compimento una salvezza, e al di fuori della quale non è possibile immaginare la rivelazione. Ed invece la Parola ci sembra dire che non è proprio così.

In fondo è un po' quello che rischiamo di pensare anche noi. Fatta una esperienza di Vita, sperimentato l’incontro con Dio tendiamo ad assolutizzare il luogo ove facciamo questa esperienza e cerchiamo di legarci a quel luogo, a quella persona, a quella comunità che ha permesso l’incontro, considerando questa appartenenza come l’unica garanzia. Al di fuori di questo legame, al di fuori di questa appartenenza ci sembra non esserci possibilità di salvezza.

In parte è vero… per ciascuno di noi la vita che viene da Dio ci giunge sempre attraverso la mediazione di qualcuno, secondo la logica dell’incarnazione che Gesù stesso ha voluto sposare. E di questo ne dobbiamo essere consapevoli e dobbiamo essere grati di tutte quelle realtà di mediazione che sono state per noi fondamentali (famiglia, comunità, qualche persona carismatica…).

Ma al tempo stesso dobbiamo vigilare e non restringere il “campo di azione” di Dio e dobbiamo prestare attenzione a dei rischi che possono nascondersi dietro a questo modo di pensare. La Parola di Dio che ci viene consegnata oggi in fondo ci scomoda volendo allargarci gli orizzonti.

E mi sembra che, con le provocazioni che il Signore ci rivolge, voglia metterci in guardia da due tentazioni/derive possibili.

La prima è quella di fare dell’appartenenza ad un gruppo un idolo, facendo di questa mediazione, di cui il Signore si serve per rendersi presente alla vita dell’uomo, il fine ultimo della propria vita. Si rischia di mettere la persona o il gruppo al quale si appartiene al di sopra del Signore stesso e, circoscrivendo lo spazio nel quale si pensa che il Signore agisca, si potrebbe incorrere nel rischio di ridurre Dio alla misura delle nostre tasche. Come se si pensasse che tutto ciò che il Signore vuole rivelare sia già custodito e rivelato in quella stretta cerchia di persone, che detengono già tutto il sapere. Non c’è possibilità di salvezza all’infuori di qualche “eletto”, non c’è possibilità di rivelazione all’infuori di un certo tipo di insegnamento dispensato da questo o quel maestro, da questo o da quel “guru spirituale”.

Invece la verità è che siamo tutti in ricerca e dobbiamo poter coltivare uno spirito aperto e “curioso” che cerca la presenza di Dio ovunque, in ogni persona, in ogni situazione.

La seconda tentazione è quella di fare delle cose di Dio una questione di “potere”, di fare del cammino di fede il luogo delle nostre competizioni. Chi è che detiene la conoscenza in modo tale da poter profetizzare? Chi è autorizzato ad operare guarigioni? Essere amministratori delle “cose di Dio” può essere vissuto non come un servizio ma un privilegio esclusivo di alcuni, come luogo per esercitare un potere per affermarsi o per trarne un beneficio per sé.

Oppure può capitare che nel cuore di chi è abitato dal fervore e dallo zelo religioso dimori il giudizio che porta sempre a misurare: chi è migliore? Chi è più bravo? Chi è più santo? Ma comparazione e competizione rischiano di portare lontano dalla logica di Dio che invece di restringere i confini, li allarga, invece di escludere, include.

Sei tu forse geloso… non glielo impedite… chi non è contro di noi è per noi… è la risposta della Parola di Dio a queste tentazioni. E siamo invitati a custodire preziosamente queste parole di Mosè e di Gesù che ci provocano ad uscire fuori dai nostri confini, dalle nostre convinzioni, rendendoci attenti alla presenza divina anche in quei contesti che ci parrebbero lontani dal mondo di Dio o lontani dalla nostra sensibilità, dalla nostra ristretta cerchia. Non c’è separazione infatti tra il mondo di Dio e il mondo degli uomini… perché c’è solamente Dio che abita in questo mondo e lo conduce misteriosamente e segretamente verso il Suo Regno, sicuramente attraverso la mediazione di santi ufficialmente riconosciuti, ma anche  attraverso i santi “della porta accanto”, attraverso tutti gli uomini e donne di buona volontà che compiono gesti di carità, di liberazione, di umanità.

Non c’è un luogo unico dove sia riservata la grazia della rivelazione del Signore, ma in tutti gli ambiti dove si respira carità e umanità Dio è presente.

Lasciate fare dice dunque Gesù ed invita a non temere perché lì dove c’è una manifestazione concreta di amore e di umanità, anche fosse un solo bicchier d’acqua, lì Dio si rivela. Ogni manifestazione concreta di amore e di umanità custodisce una Parola di Dio che fa crescere, che libera, che salva. Umanità e carità sono la firma di Dio.

Chiediamo allora al Signore la capacità di rendercene conto, di accoglierla, di favorirla, di viverla. 


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