Omelia della Domenica (25/11/2018 XXXIV T.O Anno B)
È
un’antica tradizione della chiesa riconoscere che ogni cristiano, con il
battesimo, è investito di tre doni, di tre capacità: il sacerdozio, la profezia
e la regalità.
Il
sacerdozio comune dei fedeli significa che siamo tutti chiamati a santificare
il nostro quotidiano, il tempo, la vita; a rendere sante, a vivere santamente
le cose più comuni e ordinarie che facciamo, innalzando a Dio le cose della
terra, facendo di tutta la nostra vita un’offerta spirituale.
Il
dono della profezia sembra invece avere la direzione contraria, discendente: il
sacerdote eleva il mondo a Dio, il profeta introduce nel mondo una Parola di
Dio. Come profeti siamo quindi chiamati ad annunciare, a testimoniare al mondo
il pensiero, la parola, la volontà di Dio, dopo averne sperimentato la
misericordia e la benedizione sulle nostre vite. Siamo profeti quando
testimoniamo, con la vita prima ancora che con le parole, la speranza della
venuta del Regno e della vita beata.
E
c’è infine il dono della regalità. Cosa significa essere re? Immediatamente viene
in mente l’idea di detenere il potere, avere un ruolo di guida, di governo. E
questo ci dice, come singoli cristiani, l’importanza di assumerci le nostre
responsabilità, di sapere che là dove siamo, in comunità, in famiglia, nel lavoro,
nella società, nella politica, non siamo semplicemente un ingranaggio ininfluente
del sistema, ma l’esercizio responsabile dei nostri ruoli determina il buon
andamento, il buon governo, il buon funzionamento di quell’ambiente.
Ma
la festa di oggi ci permette di approfondire il senso della regalità cristiana.
Perché l’immagine, l’idea che abbiamo di Dio determina l’immagine e l’idea che
ci facciamo dell’uomo. Finché pensiamo a un Dio padrone, a un Dio potente, ne
deriverà che anche l’uomo riuscito è colui che comanda, che dispone di sé e
degli altri secondo il proprio volere. Se invece Dio ci si rivela come colui
che dà la vita, che si mette a servizio della vita e lo fa per amore, ne deriva
che l’uomo riuscito è colui che si fa solidale in tutte quelle situazioni in
cui la vita deve trionfare.
L’ideale
di re nell’antico Testamento è rappresentato da Salomone, elogiato per la sua
capacità di garantire la giustizia e salvaguardare l’unità del popolo. Salomone
è il re ideale perché sa dirimere le questioni facendo verità, prende le difese
del povero, dell’indifeso, dell’oppresso, rappresentati spesso nella Bibbia dalla
vedova e dall’orfano. Ed è re perché garantisce la coesione del popolo,
evitando che si disgreghi e che si distolga dal suo Dio per adorare altri dei.
Gesù aveva inaugurato la sua vita
pubblica nella sinagoga a Nazareth citando il profeta Isaia proprio
per affermare la sua missione di annunciare ai poveri il lieto messaggio, la
liberazione ai prigionieri, la libertà agli oppressi; la missione cioè di
instaurare il regno di Dio (Lc 4,16 ss). Più avanti nel cammino, aveva ammonito
i suoi discepoli che si chiedevano chi fosse il più grande, invitandoli a non
ispirarsi ai grandi della terra che dominano e opprimono, “ma chi vuole
diventare grande tra di voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo
tra di voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è
venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per
molti” (Mc 10,42-45). E dimostrerà di aver assunto lui stesso fino
in fondo questa attitudine al momento della lavanda dei piedi e del dono
supremo della sua vita.
Ma dove sta la regalità in questo modo
di essere? Dove sta il potere di quest’uomo che oggi il vangelo ci presenta inerme
davanti a Pilato, all’inizio della sua passione che lo condurrà alla morte? Ciò
che rende Gesù potente è la libertà di poter dare la vita per amore e il sapere
che questo dono di sé diventa a sua volta dono di vita, di libertà e di amore
per tutti gli uomini, per l’universo intero. Chi questo dono l’ha accolto
appieno è diventato a sua volta re, trovando la forza e la libertà di amare disinteressatamente,
a volte fino a dare la propria vita. Sono i santi, quelli che ricordiamo con il
calendario ma anche quanti nascostamente hanno vissuto in questa grande
libertà.
Ma questa potenza di Gesù, che deve
diventare la potenza dei sui discepoli, non va confusa con la prepotenza di
quanti ritengono che è re colui che non è assoggettato a nessun’altra autorità
superiore, che non accetta che i propri poteri e le proprie competenze siano
trasferiti a una persona o a un ente esterno. La regalità di Gesù sta anche nell’essere
rimasto sottomesso al Padre, nel fare la sua volontà. Perché è proprio in
questa relazione filiale e di fiducia che ha trovato la forza per compiere la
sua missione, come il bambino che trova il coraggio di lanciarsi in una nuova
impresa soltanto grazie allo sguardo benevolo e fiducioso dei suoi genitori.
Per riassumere cos’è la regalità del
cristiano che Cristo, re dell’universo, ci insegna a vivere, possiamo rileggere
l’inno che abbiamo cantiamo questa mattina alle lodi:
Tu, il più esigente dei re e il più mite tra i
fratelli,
il tuo potere è servizio
il tuo Regno è misericordia
non regni col terrore
non domini con le ricchezze
ti sei fatto servo sulla croce
per regnare con bontà sulle anime
fr Amedeo
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